Vizzini. Set cinematografico delle opere verghiane
di Eleonora Bufalino, foto di Rossandra Pepe
“Il cinema è specchio, scrigno e moneta.”
Attraverso questa frase, il critico e accademico Casetti ci conduce a riflettere sull’importanza della cinematografia. Il cinema come specchio della realtà; come scrigno simbolico da cui estrarre significati; come moneta che circola nel mercato dell’arte. Tre metafore illuminanti, per pensare a quanto il cinema abbia impatto sulla società. Sin dalla sua comparsa, la pellicola ha offerto svago, ma anche uno sguardo attento su altri mondi. Il cinema fa emozionare, piangere, gioire, empatizzare con vicende e personaggi immaginari o reali; fa sognare! In questo, la nostra terra è una delle regine indiscusse delle telecamere. E così, luoghi e paesaggi siciliani hanno sempre attirato l’attenzione di registi e produttori, ammaliati dalla sua bellezza.
Vizzini, terra natale del Verga, in questo non fa eccezione. Già da metà ‘900 numerosi registi cinematografici hanno deciso di ambientarvi film ispirati alle opere verghiane. La Cavalleria Rusticana, ad esempio, una delle opere più brillanti della letteratura siciliana, è diventata un film sotto diverse regie: tra le più famose ricordiamo quella del 1954 diretta da Carmine Gallone, con attori internazionali come Anthony Quinn e Kerima May Britt, in bianco e nero e accompagnata dalle musiche di Pietro Mascagni. E in seguito quella girata da Franco Zeffirelli nel 1984 con interpreti altrettanto illustri come Placido Domingo ed Elena Obraztsova. Tra i fichidindia della Cunziria, Alfio e Turiddu duellano per l’amore di una donna. Ne viene fuori un affresco vivido della Sicilia e della Vizzini che Verga voleva raccontare, dove gelosia e onore sono i padroni.
Nel 1996 Gabriele Lavia gira La Lupa e con le musiche di Ennio Morricone, il regista dona al film un’atmosfera “verista”. Il cast si rivela vincente: Raoul Bova, Michele Placido, Giancarlo Giannini, Monica Guerritore, alcuni dei nomi di spicco che in quelle settimane vengono a Vizzini, inebriata dall’euforia di essere set cinematografico di alto livello. Gli abitanti, coinvolti in piccole parti, comparse, ma anche in manodopera per le riprese, ne ricordano ancora la fibrillazione. La Guerritore nei panni di una donna che si lascia andare ai piaceri della lussuria, incompresa e mal vista da tutti. Un giovane e bellissimo Raoul Bova nella veste di Nanni, l’uomo che non resiste all’attrazione di quella fimmina, nemmeno per l’interesse che prova per la figlia di lei, Maricchia. E il finale è un dramma quanto mai attuale. Il talento degli attori si mescola perfettamente a scene di vita quotidiana di una Sicilia piena di contraddizioni, che si tinge del sangue di passioni forti e contrastanti.
E infine, il Mastro don Gesualdo. Siamo nel 1964 e la RAI produce il primo sceneggiato a puntate trasmesso in tv. Una serie televisiva divisa in sei puntate, in bianco e nero, interamente girata a Vizzini. La regia è di Giacomo Vaccari e tra gli interpreti troviamo Enrico Maria Salerno, Turi Ferro e Lydia Alfonsi, per citarne alcuni. Il centro della città verghiana, con le sue piazze e le sue stradine polverose, fa da sfondo a questa grande opera che entusiasma la critica nazionale e la Sicilia arriva nelle sale di tutta Italia, accolta da un pubblico desideroso di intrattenimento e autenticità. Il film inizia con la scena di un incendio al palazzo dei Trao, una nobile famiglia in decadimento, composta da don Diego, don Ferdinando e donna Bianca, personaggio centrale. La gente accorre in massa per domare le fiamme e nel frattempo Bianca viene scoperta in camera da letto con Ninì Rubiera, suo cugino e amante. Don Gesualdo è colui che, da instancabile lavoratore, ha racimolato tanta ricchezza e sposando Bianca acquisisce il titolo di don, entrando così in un matrimonio infelice ma di comodo per entrambi. La trama del Mastro si snoda tra intrighi e vicissitudini di nobiltà e miseria, rivelando il genio di uno dei migliori registi di quel periodo, che si lasciò ispirare dalla nostra Sicilia.