“Uomo del mio tempo”: la lirica di Quasimodo ancora attuale
di Alessia Giaquinta
Era il 1947 quando Salvatore Quasimodo, poeta e letterato nato a Modica nel 1901, pubblicava la raccolta di poesie Giorno dopo giorno, un’intensa e severa denuncia contro le atrocità della guerra. Si era, infatti, concluso da poco il secondo conflitto mondiale che aveva causato milioni di morti, infermità, violenti stermini e stragi di massa. Insomma: uomo contro uomo, violenza su violenza.
Nell’ ultima delle venti poesie che caratterizza la raccolta, Quasimodo lancia una disperata esortazione: i figli, le nuove generazioni, se vogliono trovare salvezza e pace, devono dimenticare quanto commesso dai padri e lasciare che le loro tombe affondino nell’ oblio. Non si può parlare di evoluzione, altrimenti.
Eppure, l’uomo sembra non aver imparato la lezione: la legge dell’amore e la religione d’umana pietà sembrano essere, purtroppo, seconde agli interessi politici ed economici delle nazioni. Uomo contro uomo anche oggi, come ieri, come nella preistoria quando la pietra e la fionda erano le prime armi per mietere violenza.
Di fronte alle tante stragi e alle guerre che attanagliano il mondo, innanzi alle tempestose notizie di violenza che quotidianamente ci riportano i giornali, è sempre attuale e illuminante la riflessione del poeta modicano, insignito del premio Nobel per la Letteratura nel 1959.
“Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”: così esordisce Quasimodo nell’ultimo componimento della raccolta, con un dito puntato e un’ aspra considerazione verso un’umanità che si è fatta sempre più vicina alle belve, nonostante la “scienza esatta” che contraddistingue la sua specie.
“Hai ucciso ancora”, dice.
E poi, alle nuove generazioni, a noi, chiede di cambiare rotta, dimenticare il male e costruire una società di pace.
Il messaggio era chiaro. L’intenzione sublime. Ma nulla, però, sembra essere cambiato. Serve allora ribadire, continuare ad ascoltare quel grido – disperato e speranzoso al tempo stesso – che auspica alla società un oblio attivo: “dimenticate” per costruire una storia nuova, veramente umana.
“Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.”