
di Omar Gelsomino Foto di Bottega Digital Craft
Scrive da diversi anni, ma i suoi ultimi due romanzi hanno venduto milioni di copie. Trapanese di nascita e palermitana d’adozione, dove vive e lavora come insegnante, Stefania Auci, dopo aver pubblicato tanti romanzi, tra cui “Florence”, continuando sulla strada del romanzo storico ha scelto di narrare dell’ascesa e del declino di una famiglia, quella dei Florio, che ha interessato diversi aspetti della vita siciliana, prima con i “Leoni di Sicilia” e poi, con “L’inverno dei Leoni” per Editrice Nord. Riesco a raggiungerla durante una pausa delle sue tante presentazioni del romanzo.
«La passione per la scrittura è nata da quando avevo dieci anni, da così tanto tempo che non riesco a separare la scrittura da quelle che sono le mie memorie, i miei ricordi, ho sempre scritto. È qualcosa che mi appartiene profondamente. Non mi butto nelle cose facili, la facilità talvolta finisce per essere limitante e banale. Mi piace leggere e raccontare la storia. Nella mia vita ci sono stati due elementi molto forti e presenti: la musica e i libri di storia, per me è diventata una vera e propria passione. Sono nata letteralmente così».
Alcuni hanno accostato i suoi romanzi sui Florio al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, ma lei tiene a precisare che il confronto è immeritato.
«Trovo questa definizione ingiusta ed eccessiva. Io sono Stefania Auci e avvinarmi o paragonarmi a Tomasi di Lampedusa mi sembra una forzatura, perché lui è un genio della letteratura, è uno scrittore grandioso, che con pochissimo riusciva a rendere l’idea di un clima, di una situazione, di un mondo che stava per tramontare in maniera definitiva. Capisco l’affinità, il periodo storico, alla fine io ho raccontato una storia complicatissima di una famiglia. È stata la mia sfida principale. Mi piaceva cimentarmi in cose difficili, ecco perché la scelta di raccontare sin dall’inizio non tanto e non solo il periodo del maggiore successo e poi il crollo di una famiglia, come sarebbe stato sicuramente più semplice, avevo l’intenzione di ricreare il cambiamento sociale, le mutate condizioni economiche che hanno portato alla grandezza di questa famiglia e ciò che poi è successo con le diverse generazioni. Sicuramente i Florio rappresentano un punto di vista fondamentale per capire come si sia evoluta l’economia del tempo in Sicilia e come avrebbe potuto evolversi se non ci fossero state le crisi e il crollo che hanno portato alla disfatta economica della famiglia».

Stefania Auci ha il merito di raccontare l’ascesa e il declino dei Florio, una famiglia il cui contributo è stato determinante per la città di Palermo e la Sicilia dal punto di vista economico, sociale e culturale.
«Purtroppo è rimasto molto poco, dal punto di vista dell’economia non c’è più niente perché le loro aziende sono passate di mano, in una maniera irreversibile. Immaginiamoci che tipo di depauperamento ha subito il patrimonio di famiglia. Secondo me si è creata una situazione di profondo malessere da parte della società nei confronti della famiglia, perché nel momento in cui sono stati costretti ad abbandonare tutti i loro beni, la gente è rimasta in mezzo a una strada perché non aveva più lavoro. È come se le persone e la città avessero avuto timore della loro presenza, ciò che è accaduto è qualcosa di molto forte».
Nonostante le ostilità incontrate quando i Florio sono arrivati in Sicilia hanno saputo imporsi e ritagliarsi grandi spazi, ma la Sicilia e i siciliani sono davvero cambiati? C’è ancora tra i siciliani quel desiderio di riscatto sociale?
«Non sempre la Sicilia è così accogliente come ci piacerebbe credere, non siamo così generosi con chi viene da fuori, lo siamo più di altre nazioni e regioni questo è innegabile, ma diciamo che non facciamo niente per rendere ad altri le cose semplici. Non sempre viene fuori questa capacità di accoglienza, e quando accade la cosa brutta è che i siciliani te lo fanno pesare. Per fortuna non sempre accade. I siciliani non hanno perso la voglia del riscatto, ma hanno perso l’energia. È una cosa differente, si può avere voglia di cambiare le cose, ma si deve avere anche la forza di cambiarle: quello che io vedo drammaticamente è che i siciliani questa forza non ce l’hanno più».

Il successo de “I Leoni di Sicilia” è giunto inaspettato, ha raggiunto record di vendita incalzando perfino l’ultimo romanzo del maestro Andrea Camilleri, e un ottimo riscontro sta riscuotendo anche “L’inverno dei Leoni”. Sono tradotti in tante lingue e sono stati acquistati anche i diritti televisivi.
«Sono dieci anni che scrivo, non me lo aspettavo e sfido chiunque a dire di poter aspettare un successo di questo tipo. Mi sembra strano. L’iniziale incredulità è passata quando mi sono resa conto che il libro piaceva, continuava a vendere e continua tuttora. Non me lo aspettavo però accolgo tutto con gratitudine e grande gioia. Alla fine non ho creato un vaccino, né una cura contro una malattia mortale, ho solo scritto dei libri, una cosa bellissima e meritoria. Vediamo la cosa sempre nella giusta prospettiva, abbiamo ben altri problemi, quindi cerchiamo di ricordarci che è più importante investire nella ricerca e continuare a fare studiare chi si occupa della nostra salute. Gli eventi degli ultimi mesi ce l’hanno ampiamente dimostrato. Sono stati comprati i diritti televisivi dei due romanzi, poi c’è stata una battuta d’arresto perché sono cambiati i vertici della Rai, c’è stato il Covid. Mi rendo conto anche delle difficoltà, è un romanzo storico molto complesso. Spero che tra la fine del 2021 e gli inizi del 2022 qualcosa si muova. Aspetto anch’io paziente».
Prima di congedarsi Stefania Auci ci rivela che in autunno, dopo i tanti impegni, riprenderà di nuovo a scrivere, senza anticiparci nulla.
«Per adesso faccio la promozione del mio ultimo romanzo che mi assorbe tanto tempo, poi ho tutta una serie di collaborazioni da scrivere e per settembre, con il fresco, riprenderò a lavorare su un nuovo progetto. Mi riservo di tenere un po’ di suspense».