Partorire durante la pandemia, la forza della vita.
di Alessia Giaquinta
«Appena ho visto il mio piccolo Benjamin, ogni paura si è affievolita».
È così, con gli occhi commossi e un sorriso coperto da una mascherina, che Lorena D’Asta descrive il suo parto, al tempo del Coronavirus.
Perché la vita ha una forza superiore, divina potremmo dire.
Un giorno, le mamme di oggi, racconteranno ai loro piccoli che sono nati in un momento in cui la paura sovrastava le comuni ansie, rendendo il parto un’ esperienza, a tratti, difficile. Nessun papà, infatti, ha accompagnato la propria donna in sala parto, nessun parente ha potuto assistere in ospedale, nessun familiare è stato lì a condividere i memorabili attimi che segnano la vita di ogni mamma. Il Coronavirus, infatti, ha imposto norme restrittive in tutti gli ambienti e, a maggior ragione, in quel luogo sacro in cui, quotidianamente, più volte al giorno, il pianto di un bambino ha la forza di rallegrare il mondo.
«Non è stato facile. Mi mancava mio marito e la mia famiglia. Spesso ho pianto prima di partorire e, nel silenzio dei corridoi, sentivo piangere altre donne, come me», continua Lorena D’Asta.
È paura mista alla gioia quella che invade gli occhi delle mamme in attesa. Poi, come un prodigio, un corpicino inerme – che necessita di amore – riesce a cancellare ogni pensiero e fatica. La vita va avanti. Nella sala parto, ogni giorno, nasce il futuro, nonostante tutto.
Francesca, Michele, Carla, Valerio, Giovanni, Claudia, Benjamin: sono solo alcuni dei nuovi arrivati, in questi mesi difficili per il mondo.
«Non potevo avere la mia famiglia accanto – continua mamma Lorena – ma, devo ammettere, che tutto il personale dell’ospedale è riuscito a non farmi sentire mai sola, lavorando sempre con professionalità, con passione e col sorriso».
Un sorriso nascosto dalle mascherine eppure, nonostante ciò, visibile e concreto.
I nati al tempo del Coronavirus non si può dire certo che siano venuti al mondo nella migliore delle condizioni ma, più di ogni altro momento, sono la testimonianza tangibile della forza meravigliosa della vita, capace di andare avanti sempre. Anche la zia, Giusy Petriglieri, ha sofferto parecchio il fatto di non poter stare accanto al nipotino appena nato: le video-chiamate e le foto, giunte dopo poche ore dal parto, del piccolo Benjamin sono state, però, un modo per gioire ed emozionarsi da casa. «Sapere mia cognata, sola, in ospedale mi faceva stare male. Ho passato anche notti insonni. Ma, pensare alla nascita del mio nipotino e finalmente vederlo, anche telefonicamente, mi rallegrava. È un bimbo bellissimo. Non vedo l’ora di incontrare lui e anche Biagio, l’altro nipotino. Al momento anche una loro video-chiamata mi cambia la giornata. Sono una persona nuova grazie a loro».
Le restrizioni sono, in qualche maniera, anche un modo per concentrarci sull’essenziale e focalizzare ciò che è realmente necessario. Ecco che i nuovi nati, rappresentano, soprattutto in questo momento, un richiamo alla positività, al futuro, al flusso della vita incessante che procede. Benjamin ora è finalmente nella sua casa, a Comiso. Ha potuto così conoscere, finalmente, il suo papà e il suo piccolo fratellino. A distanza, e muniti di mascherine, anche i nonni e gli zii gli hanno dato il benvenuto. Fuori, nel mondo, esiste la paura. Il piccolo Benjamin, no, non sa ancora cosa sia! Tra le braccia di mamma e quelle di papà ha trovato il suo mondo perfetto, quello semplice e rassicurante che tutti abbiamo conosciuto e forse, un po’ dimenticato.
L’invito è allora tornare all’ essenzialità di quel mondo: anche noi, come i nuovi nati, abbiamo bisogno di conforto e certezze; anche noi, come loro, abbiamo bisogno di sperare nel futuro. Proprio in questo istante, sta nascendo una nuova vita che, a sua volta, produrrà sorrisi e speranze. Sia questa la notizia migliore: la vita, nella natura e nell’uomo, va avanti.
“Ogni bambino che nasce ci ricorda che Dio non è ancora stanco degli uomini”, disse Tagore. Abbiamo, dunque, ancora speranza! Il piccolo Benjamin ne è la prova vivente!