Oro Rosso, pomodoro, sale e sole
di Titti Metrico Foto di Samuel Tasca
“Pippinu sulu pummaroru siccagnu vuogghìu. A canciasti l’acqua? Fallu sculari buonu…
Cettinedda a nonna, mettiti u Falari e camina cù mmìa… strica forza, strica a nonna, ca appù u suli fa u sò. Arriminamuni ca scurò. Cettinedda u rimminammu u strattu?”
Queste le parole che si sentivano e, ancora oggi si sentono nelle calde estati siciliane, quando l’intera famiglia si riuniva per dare luogo al sacro rito del pomodoro.
Pomodoro, sale e sole, solo tre ingredienti per dare vita a una delle più tipiche specialità siciliane.
Dopo un’accurata selezione, si provvedeva al lavaggio dei pomodori per poi metterli ad asciugare sulle cannizzole (graticci di canne). Dopo l’asciugatura, i pomodori venivano divisi per fare la salsa, lo strattu (concentrato) e le ‘nciappate (pomodori secchi). Quelli per la salsa e lo strattu si mettevano a cuocere nella caurara (pentolone) e poi, una volta cotti, si passavano a mano al setaccio. La salsa ottenuta veniva poi condita e imbottigliata. Di questa, una parte veniva, invece, salata e stesa nelle maidde (larghi contenitori di legno con le sponde basse) o nei fangotti (grandi piatti di terracotta) ed esposta al sole per farla asciugare.
U suli fa u sò (il sole fa la sua parte) e così più volte al giorno si provvedeva ad arriminare (mescolare) la salsa con un cucchiaio di legno o anche soltanto con le mani per consentire al sole di compiere la sua opera. Le bambine più grandi spesso si univano alle donne per aiutarle e aspettavano la fine dell’arriminata per potersi finalmente leccare le dita del sugo rimasto.
Di giorno esposto al sole, la notte ritirato dentro casa per impedire all’ umidità di far ammuffire il composto, il sugo liquido si addensava in una massa pastosa di un colore rosso mattone, che si raccoglieva in barattoli di vetro e si ricopriva con olio di oliva e basilico oppure alloro.
Ricco di antiossidanti naturali come il licopene, u stratto veniva poi adoperato durante l’anno per arricchire sughi e pietanze. I pomodori migliori venivano invece utilizzati per fare i ‘nciappate (pomodori secchi).
“Pippinu ma sistimasti a cannizzola?” (hai sistemato il graticcio di canne?) esordiva così mia nonna quando iniziava a fare i ‘nciappate. Tutti a spaccare a metà i pomodori e a sistemarli per bene sulla cannizzola. Ben aperti e cosparsi di abbondante sale, venivano esposti anch’essi al sole per diversi giorni per eliminare l’acqua in eccesso.
Una volta raggiunta l’essiccazione desiderata, si raccoglievano e si lavoravano imbottendoli con una foglia di basilico per poi riporli nei barattoli di vetro ricoperti di olio di oliva e uno spicchio d’aglio.
Il processo di essiccazione permette di conservare tutte le qualità nutritive del pomodoro oltre alla concentrazione di minerali e fibre e al già citato licopene.
PREPARAZIONE STRATTO (concentrato)
1 kg di passata di pomodoro
35/40 gr. di sale fino per kg
olio extravergine q.b. per la conservazione.
I pomodori devono essere perfettamente integri e possibilmente biologici. Dopo aver lavato e tagliato i pomodori, fate una passata come una comune salsa di pomodoro e aggiungete il sale. Disponetela in uno o più piatti oppure in una teglia abbastanza larga e fatela asciugare al sole, coperta da un tulle per evitare che qualche insetto possa finirvi dentro. Mescolatela 2/3 volte al giorno e la sera portatela in casa. Ripetete questo procedimento fino a quando non è ben asciutta e pastosa.
Conservazione: potete conservarla nei vasetti di vetro con un filo d’olio. I vasetti vanno conservati in un luogo fresco e asciutto, meglio se al buio. Potete conservarli anche in frigo, o scegliere di sterilizzarli a bagnomaria per 15 minuti.
Questa non è una ricetta ma un rito da fare solo nel periodo di luglio-agosto ricordando che l’ingrediente fondamentale per questa ricetta resta il sole caldo tipico dell’estate siciliana.