Marzo, pazzo ed innamorato
I RACCONTI DI BIANCA a cura di Alessia Giaquinta
Un tempo – raccontano gli antichi – il mese di marzo aveva solo 28 giorni. Era, per eccellenza, il mese più capriccioso e burlone, tanto da non essere mai preso sul serio da nessuno… O quasi!
Nel corso dei suoi giorni, Marzo s’innamorò di una graziosa fanciulla la quale, indispettita dai suoi atteggiamenti incostanti, non ricambiò mai il suo amore.
«Ma io ti amo», le ripeteva Marzo.
«Come posso fidarmi di uno che un giorno mette il sole e dopo poche ore manda tempeste e neve?», rispondeva la fanciulla.
Era molto adirato Marzo per quelle parole. Lui era fatto così, ma non per questo era incapace di amare.
È vero, non godeva di buona fama: Marzo, per scherzo, aveva lasciato fuori casa il vecchio padre durante una giornata di sole ma poi, dopo pochi minuti, aveva mandato una grandinata tale da far perire il vecchio per assideramento.
Eppure lui era pronto a giurare che non aveva agito con cattiveria: era stata la sua natura “pazzerella” ad averlo tradito. Così come quando sua madre gli aveva chiesto di “non mandare la pioggia” perché potesse asciugare il bucato, ma lui fece decisamente il contrario, causando le furie della povera donna.
Marzo, però, aveva solo un grande desiderio da esaudire: prima che terminassero i suoi giorni voleva ricevere l’amore di quella bellissima fanciulla che non si era mai stancato di corteggiare. Pur di arrivare al suo intento, allora, andò da suo fratello Aprile e gli chiese tre giorni in prestito. Aprile, generoso e abbondante (aveva, infatti, ben 33 giorni) concesse a Marzo ciò che aveva richiesto, raccomandandogli di farne buon uso.
Marzo, invece, all’ennesimo rifiuto della fanciulla, scatenò freddo gelido e violenti temporali. Questa volta lo fece volontariamente: insieme a lui, così, moriva quella giovinetta che non aveva saputo apprezzarlo accogliendo il suo amore.
Da allora in poi marzo ebbe 31 giorni e ad aprile ne rimasero 30.
Ancora oggi qualcuno, memore di questo racconto, tramanda il proverbio: “Marzu è pazzu, tra puntina e matarazzu”, facendo riferimento alla sua mutevolezza, e ancora la raccomandazione: “Ntà Marzu cumméni aviri ddu’ paracqua: unu pp’u suli, e unu ppi l’acqua”.