Che maiale, quello nero dei Nebrodi
di Alessia Giaquinta
Il maiale nero dei Nebrodi ha la testa grande ed il collo allungato. È di piccola taglia rispetto ai suoi simili, con arti lunghi e agili, eppure è robusto, con lo scheletro forte ed è resistente alle variazioni climatiche. A prima vista sembrerebbe un cinghiale, in realtà è un maialino. E non uno qualsiasi!
Per il colore della sua cute e delle setole che ricoprono il suo corpo, è conosciuto con l’appellativo di “Suino Nero”, ma è necessario far riferimento alla zona geografica per contraddistinguere una delle carni più pregiate che ci siano.
Il maialino di cui stiamo parlando vive nei Nebrodi, in un’area che si estende dalla provincia di Messina a quella di Catania, ad Enna, e rappresenta un’ eccellenza tutelata dal Presidio Slow Food poiché la sua carne possiede particolari caratteristiche: oltre al sapore che tende al dolciastro e all’aroma delicato e ben riconoscibile al palato, vanta peculiari proprietà nutritive: è, infatti, ricca di acidi grassi essenziali appartenenti alla famiglia degli Omega 6 (che aiutano a ridurre il colesterolo “cattivo” aumentando i livelli di quello “buono”), ricca di sali minerali e vitamine, soprattutto quelle del gruppo B. Ma perché il suino nero dei Nebrodi riesce ad avere tali peculiarità?
Sicuramente la sua alimentazione, a base di bacche, ghiande e legumi, influisce notevolmente a rendere la sua carne pregiata. Ma è anche la peculiarità geografica del territorio in cui vive ad aver influito a farne un’ eccellenza. L’ orografia dei Nebrodi, caratterizzata da vallate strette, ha permesso a questo animale – un tempo diffuso in buona parte della Sicilia – di non estinguersi. Le strette vallate, inoltre, sono utili alla separazione dei gruppi dei suini, e gli ampi boschi servono a questa specie autoctona per trovare provviste e riparo.
Un altro fattore importantissimo è l’assenza di allevamenti intensivi. I maialini dei Nebrodi, infatti, vivono allo stato brado o semi-brado, in ampi spazi recintati in cui trovano riparo nelle cosiddette pagghiarole o zimme, vere e proprie capanne a forma di cono con rivestimento di paglia e pavimento in pietra.
La presenza del suino nero in questi territori, ed in molti altri della Sicilia, risale al periodo greco e cartaginese, nel VII e VI secolo a.C. Secondo la religione politeista del tempo, il maiale era considerato un animale sacro tanto che, spesso, veniva offerto in sacrificio per ottenere i favori degli dèi. Ne consumavano pure le carni, in genere affumicate o conservate in salamoia. Durante l’invasione araba, però, si ebbe una notevole riduzione di interesse nei confronti di questo animale. Secondo la religione islamica, infatti, si tratta di un animale impuro, pertanto non può far parte dell’alimentazione di chi professa tale credo.
Durante il Medioevo era diffuso l’allevamento di grandi branchi di maiali allo stato brado e il “porcaro” divenne una figura stabile nella società medievale, ogni masseria ne possedeva almeno uno.
Le mutazioni della società e specialmente dell’ambiente portarono in parte all’estinzione di questa tipologia di animale che, però, come già detto, continua a sopravvivere nei Nebrodi, diventando pertanto una specialità del territorio.
In queste zone è diffusa anche la leggenda del “boccone del prete” che chiama in causa anche il suino nero dei Nebrodi. Si narra che, molto tempo fa, una famiglia del luogo per ringraziare il prelato che aveva benedetto la loro casa, gli fece dono di un cesto di uova fresche. Il sacerdote, di buona forchetta, però, non si accontentò: sapendo che la famiglia produceva salumi, chiese anche di avere un po’ di salsiccia di suino dei Nebrodi. Da questo racconto nasce il tipico piatto che, per tale motivo, prende il nome “Boccone del prete”, a base di uova e di salsiccia del tipico suino nero.
RICETTA “BOCCONE DEL PRETE”
– 5 uova
– Salsiccia dei Nebrodi (quantità a piacimento)
– Sale
– Olio
PROCEDIMENTO
In una padella ben oleata disporre la salsiccia tagliata grossolanamente. Dopo qualche minuto aggiungere le uova strapazzate, già condite con un pizzico di sale. Cuocere finché il composto si addensa. Servire caldo.