Il Natale, l’Albero, la Pandemia
Articolo di Domenico Seminerio
“La Pandemia! – Che vuoi che sia?
O sorte ria! – Che camurria!
Sulu mi mia? – Puru pi tia!
Che allegria! – Viva Maria!
E Santa Lucia! – E il vero Messia!
Per gente pia! – E così sia!”
Finisco qui il breve scambio di “sorrisette parole brevi”, tanto per alleggerire con lievi battute la pesantezza del momento, e prendo congedo dall’amico Oscar. Ma continuo a rimuginare sulle feste del dicembre prossimo venturo che con quasi assoluta certezza quest’anno non celebreremo nei modi consueti. Un pensiero, però, si fa strada prepotente. L’albero lo farò lo stesso. L’albero di Natale, naturalmente. L’ho promesso.
L’ho promesso al più piccolo dei miei quattro nipoti, che con fare titubante e la vocina di quando fa le domande d’incerta accoglienza, m’ha chiesto: “Ma l’albero lo faremo lo stesso, nevvero?”. Lo faremo lo stesso, gliel’ho promesso. Lo faremo, al plurale. Perché in effetti da diversi anni in qua lo facciamo insieme, io e loro quattro. Un albero finto, naturalmente, per rispetto alla Natura, ma grande, di quasi tre metri: col punteruolo dorato arriva al tetto. Per farlo ci vuole la scala, quella robusta, capace di reggere ai movimenti improvvisi e alle brusche manovre necessarie per avvolgere un filo o per non far scappare una pallina colorata. Sulla scala ci salgo solo io, per evidenti motivi di sicurezza e perché non mi fido dello scavezzacollo più grande e alto quasi quanto me, che ne approfitterebbe, temo, per tarzanesche evoluzioni domestiche.
Farò l’albero. Sempre quello degli anni scorsi. Con le palline colorate degli anni scorsi, mi par di capire. Si profila una chiusura totale, coi negozi tutti chiusi. Chiusura, perché non voglio usare quell’antipatica espressione in lingua inglese, scimmiottata con supponente compunzione da chiunque si affacci sugli schermi televisivi di tutte le italiche emittenti. Chiusura, che la capiscono tutti, senza le scuse e i comici fraintendimenti di chi non capisce per davvero.
Ma che ci andate a raccontare a donna Concettina ottantenne pensionata sociale di loccdau e coviddi e parole così, che non si capisce che vogliono dire e le usano per giustificare i soldi che si mangiano tutti? E donna Marietta, coetanea ex ortolana e fruttivendola, rincalza col ricovero o funnu, che dice che ci prestano i soldi e poi ne vogliono il doppio, come don Tino, che lo sapevano tutti cosa faceva. “Scanzatini”, con accompagnamento di gran segni di croce.
Chiusura, perciò. Rigida. Come dev’essere per salvaguardare la salute di tutti, ma proprio tutti, i giovani e pure i vecchi, i più in pericolo, che a quanto pare danno fastidio a quelli che vorrebbero aprire tutto e continuare come se niente fosse e magari risparmiare sulle pensioni. E io invece farò l’albero, con le palline colorate e gli addobbi e le lucette che ho in casa, quelli degli anni passati, riesumati dagli scatoloni nel fondo d’un armadio, e ci metterò la neve finta e collocherò gli addobbi seguendo i gusti dei nipoti. Sono loro che mi impongono dove mettere la pallina rossa e quella dorata, gli addobbi a forma di farfalla, quelli ispirati ai personaggi di Disney che non mi ricordo più come sono finiti a casa mia.
E poi, dopo aver collocato e scollocato varie volte e fatto da giudice per dirimere le inevitabili divergenze d’opinione tra i quattro, regolarmente in disaccordo, mi toccherà procedere con la prova più difficile, quella delle lucette, che va fatta oscurando preventivamente la stanza dov’ è l’albero. Manovrando nel buio con impaccio riuscirò a infilare la spina nella presa. Non s’accenderà, al solito. Un furbacchione saputo esclamerà come sempre “l’interruttore!”. Lo schiaccerà. E l’albero si accenderà, tutto, e le lucette bianche e rosse e verdi e azzurre cominceranno la loro corsa di veloci intermittenze, d’ombre colorate che si susseguiranno rapidissime tra il verde cupo dei rami che prenderanno vita, dell’albero che sembrerà crescere ed espandersi nella stanza e rapire e chiudere in sé i cinque bimbi perduti ancora e sempre dalla magia del Natale. Cinque, certo. Perché anch’io tornerò bambino. Perché tutti torneremo bambini anche quest’anno, favoriti, chissà, proprio dalla chiusura, che ci lascerà più tempo per i ricordi e allenterà la morsa della foga consumistica che negli ultimi anni ci ha fatto dimenticare l’essenza stessa del Natale.