Le Gelsominaie di Milazzo, quanta fatica dietro a quel profumo

Articolo di Titti Metrico   Dipinto di Mariagrazia Tedesco

La tradizione vuole che l’8 marzo le donne siano omaggiate con un rametto di mimosa. Se a questo fiore è associato il significato della forza e della femminilità un po’ ovunque, in Sicilia un altro fiore che simboleggia il sacrificio di tante donne è il gelsomino. Voglio raccontarvi una storia di cui ho già fatto un breve cenno nei numeri precedenti: siamo nel 1945, la guerra è finita da poco, un profumo inebriante invade Milazzo perché vi è una grandissima distesa di gelsomino. La raccolta è affidata alle donne, per via delle mani più delicate rispetto a quelle dell’uomo; i gruppi sono formati da dieci donne che si riuniscono tutti i giorni alle 2,30 in piazza XXIV Maggio dove erano prelevate e portate nei campi; mezz’ora dopo inizia la raccolta e va avanti per ore, sempre al buio, la sola luce è data dalla fiamma della raffineria. Nel primo pomeriggio ritornavano nelle campagne per togliere le erbacce mentre gli uomini irrigavano la sera. Indossavano grandi gonne lunghe, alcune più coraggiose i pantaloni e un grembiule; avevano solo un fazzoletto che usavano mettere in testa per ripararsi dalla rugiada, le più fortunate avevano gli stivali, altre gli zoccoli, ma, s’impigliavano nelle piante, quindi, i piedi nudi facilitavano il lavoro. Le gelsominaie con i piedi nell’acqua, venivano molto spesso infettate dalla leishmaniosi, una malattia portata da un insetto che pungeva la pelle dei piedi nudi, determinando tumefazioni articolari, dermatiti, andature zoppicanti; a questo aggiungiamo, che stavano ore con la schiena piegata per guadagnare un pugno di lire. Nonostante la fatica, tra loro c’era un clima sereno, allietato da racconti e canti, a volte divertenti. Le madri erano costrette a portare i loro figli più piccoli, lasciandoli dormire nelle ceste, mentre le bambine erano coinvolte nella raccolta di fiori che dovevano essere delicatamente staccati uno per uno e posti nella grande tasca del grembiule. Dopo essere stati raccolti, erano messi tutti insiemi in grandi ceste, poi lavati, impacchettati e infine spediti all’estero per la produzione di profumi. Essendo l’unica fonte di lavoro per le donne, esse sottostavano a una miserabile paga a peso, e non a ore, facendo indispettire qualcuno che di notte le terrorizzava, per una semplice ripicca, per cui tante volte, qualche marito andava con loro per proteggerle. Guadagnavano 25 lire per ogni chilo raccolto, equivalente a circa diecimila fiori di gelsomino.
La paga miserabile e le pessime condizioni di lavoro portarono le gelsominaie di Milazzo a fare il primo sciopero della storia siciliana. Nell’agosto del 1946 scoppiò la rivolta delle lavoratrici della piana di Milazzo, guidata da Grazia Saporita, chiamata “la Bersagliera”, munita di un bastone, il giorno dello sciopero, all’alba bussò alle porte delle sue colleghe invitandole a seguirla, tutte ubbidirono perché si sentivano protette da questa donna caparbia e autoritaria. Alla fine degli anni Cinquanta Grazia e sua figlia Rosaria occuparono il Commissariato di Pubblica Sicurezza rivendicando condizioni di lavoro più umane. Questa rivolta ebbe la solidarietà di tante altre donne anch’esse sfruttate nei campi, che ben presto diventò uno sciopero generale che bloccò tutto il Messinese.
Quando nel 1970 “la bersagliera” fu eletta rappresentante sindacale, rivendicò l’aumento della paga, orari di lavoro più accettabili e poi delle cesoie per facilitare la raccolta, degli stivali e dei grembiuli per proteggersi dagli insetti e delle bilance per pesare i fiori. Le sue richieste furono accettate. A quei tempi tutte le gelsominaie la sera dell’8 marzo si riunivano per festeggiare. Ancora oggi la strada da percorrere per una reale uguaglianza tra i sessi è ancora lunga e richiede molti cambiamenti nella mentalità e nelle azioni.

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