“Conversazione in Sicilia”, a 55 anni dalla scomparsa di Elio Vittorini

Articolo di Eleonora Bufalino

Quale miglior periodo per dedicarsi alla lettura di autori e autrici della nostra terra, che sono come perle preziose in un oceano ricco di talento e genio. Tra questi vi è Elio Vittorini, scrittore, traduttore e critico letterario, di cui a febbraio ricorre il 55esimo anniversario della sua scomparsa. Vittorini nacque a Siracusa e della sua Sicilia iniziò ben presto a conoscerne i luoghi grazie al lavoro del padre, ferroviere. Incline sin da giovane alla letteratura e al giornalismo, fu definito fascista “di sinistra”, dal momento che non si piegò mai del tutto al regime, ma anzi in seguito partecipò attivamente alla Resistenza. La passione per la scrittura non lo abbandonò né durante i periodi più movimentati della sua vita, né alla fine, quando colpito da un male incurabile, si spense a Milano nel 1966.

L’ eredità lasciata da Elio Vittorini è tra le più originali del secolo scorso; uno stile letterario che oscilla tra il reale e il simbolico e in cui si mescolano vari toni, le espressioni ermetiche ma anche quelle del parlato semplice. “Conversazione in Sicilia” è il romanzo che ingloba tutto questo; memoria e fantasia, gli elementi del treno e del viaggio che tornano a evocare i ricordi dell’infanzia, umorismo e tragedia. Il romanzo si compone di cinque parti e venne prima pubblicato a puntate dalla rivista letteraria “Letteratura” e nel 1941 in un unico volume per la Bompiani. Lo scrittore siracusano descrive una Sicilia che appare come una fotografia: le terre aride, l’odore di zolfo delle miniere dell’ entroterra, i fichi d’India ai lati dei binari del treno, le rappresentazioni teatrali nella sala d’aspetto di una piccola stazione ferroviaria, deserta la notte.

Il protagonista del romanzo, stabilito ormai da anni nel Nord Italia, decide di mettersi in viaggio verso la sua terra d’origine, la Sicilia appunto, mosso da una lettera del padre in cui gli rivela di aver lasciato la madre, andando via di casa. Per Silvestro Ferrauto, tipografo e intellettuale, inizia il viaggio verso Sud, tra ricordi, nostalgia e un vago senso di inquietudine. Riguardo l’identità del viaggiatore è lo stesso autore a precisare che il racconto non è autobiografico. Inoltre, la stessa Sicilia che Vittorini dipinge «è solo per avventura Sicilia; perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela». Il viaggio attraversa tutto lo stivale e così gli odori, i sapori, le luci, i paesaggi si fanno sempre più vividi; il titolo del romanzo prende forma e comincia quella conversazione che dà un senso alle pagine. Il protagonista s’imbatte in una serie di incontri, alcuni così strani e surreali, che lo rallegrano, stupiscono, commuovono. Finalmente Silvestro riabbraccia la madre ed è subito un ritorno alle origini, a una memoria lontana che scuote le corde dell’anima ma allo stesso tempo riporta alla realtà. Il protagonista resta in Sicilia tre giorni e “conversa” con molte persone; ciascuna di loro porta con sé storie, errori e contraddizioni. Tutte umanità sofferenti, alla ricerca del senso profondo dell’esistenza: l’arrotino, il proprietario della taverna, il venditore di stoffe.


Sono possibili due diverse chiavi di lettura dell’ opera: la prima è quella che fa pensare a un sogno o un’allucinazione; interpretazione che spiegherebbe la mancanza di un filo conduttore tra gli incontri del protagonista, i dialoghi ripetitivi, le situazioni bizzarre ed estranee da ciò che il mondo della letteratura aveva proposto fino ad allora. Un’altra interpretazione invece vede nel romanzo una critica celata al fascismo, attraverso simboli ed immagini mascherate, in modo da non incorrere alla censura. Un significato, quindi, in cui personaggi e luoghi hanno significati che vanno oltre l’apparenza.

Gli umili che l’autore fa parlare nel suo libro non sono più solo specchio della Sicilia povera e arretrata, in puro stile verghiano, ma di tutti coloro che soffrono ma non si arrendono e proprio per questo sono più umani e sensibili degli altri.

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