Domenico Seminerio: «La scrittura deve emozionare, divertire, insegnare»

Articolo di Omar Gelsomino   Foto di Roberto Strano

Con la sua scrittura fine abilmente riesce coniugare storia e fantasia, realtà e leggende. Domenico Seminerio, scrittore calatino, da anni si è affermato nel panorama letterario nazionale con diversi romanzi: “Senza re né regno”, “Il cammello e la corda” e “Il manoscritto di Shakespare” editi per Sellerio, “L’autista di Al Capone” (Siké) solo per citarne alcuni e l’ultimo “L’inganno di Pilato” (Algra Editore).

Una scrittura magistralmente usata per raccontare e raccontarsi. «La passione per la scrittura l’ho sempre avuta, fin da piccolo, quando mi divertivo a scrivere fiabe. Poi ho continuato con saggi di carattere storico-archeologico, poemetti, articoli per quotidiani e riviste e, in ultimo, mi sono dedicato alla narrativa con romanzi e novelle. Scrivere, per me, è diventato un esercizio indispensabile, quasi come respirare o mangiare, ma non per acquisire gloria letteraria e notorietà, semplicemente per dare ordine ai pensieri randagi e comunicare con gli altri, per stabilire un confronto su temi che hanno attirato la mia intenzione e che possono essere di interesse comune. Nei miei romanzi e nelle novelle confluiscono le esperienze cumulate in tutti i campi, come succede, credo, per tutti gli scrittori, ed arricchiscono la narrazione di fatti veri o verosimili con annotazioni che accrescono l’interesse e il divertimento del lettore».


Domenico Seminerio ha connotato la sua scrittura dandole un genere e uno stile, affidandole una funzione. «Veramente non mi sono mai posto il problema, ma, se proprio debbo osare, direi che la mia scrittura piglia le mosse dal Verismo e dal razionalismo illuminista di Sciascia e di altri. Per lo stile, ho cercato di crearne uno tutto mio, con l’uso esclusivo del discorso indiretto libero, lontano dai virtuosismi barocchi e dallo psicologismo di alcuni nostri autori, Bufalino e Pirandello, per dire, con una lingua che, secondo me, si dovrebbe adattare a personaggi, paesaggi, situazioni che prendo in esame: ma tocca ai lettori dire se ci sono riuscito o meno. Il ruolo dello scrittore? Movere, delectare, docere, ovvero emozionare, divertire, insegnare, magari riproponendo storie del passato con l’occhio attento al presente e allungato verso il futuro». Una realtà che va letta usando anche la fantasia. «Come disse qualcuno, “lo strapotere fantastico della realtà siciliana è tale che la comprensione dell’isola, per essere ricondotta entro parametri razionali, ha bisogno della più sfrenata fantasia da parte degli scrittori”. C’è bisogno della fantasia per dare un senso e una spiegazione logica a molti avvenimenti e molte scelte, sia individuali che collettivi, che tante volte ne sembrano privi. Ma, forse, può essere più attinente la citazione di chi vide la Sicilia come “un paradiso terrestre occupato da un battaglione di diavoli».


Nella sua ultima opera, con una sapiente ricostruzione storica e la fantasia, mette in dubbio un’interpretazione storica millenaria. «Il mio ultimo romanzo, “L’inganno di Pilato”, prende le mosse da una rilettura attenta di alcune parti dei Vangeli, letti come si leggono gli atti di un processo antico, senza i condizionamenti che portarono alla sentenza e senza la luce abbagliante e perciò accecante della fede, che non permise di valutare alcune contraddizioni. Una ricostruzione storica romanzata che porta a una diversa interpretazione dei fatti e fa emergere una soluzione completamente diversa rispetto al racconto tradizionale. Un romanzo sconvolgente, hanno detto alcuni critici, molto duro, che non mancherà di suscitare polemiche e recriminazioni. Le ho messe in conto e sono sereno. Non ho inteso recare offesa a nessuno, non ho voluto irridere alcuna fede: ho solo voluto presentare una possibile e plausibile soluzione, tutta razionale, senza tener conto del filtro della fede. Dal dialogo tra fede e ragione, è stato detto in modo molto autorevole, non può che nascere una maggiore consapevolezza della fede professata e comportamenti individuali e collettivi più in linea con la razionalità».

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