Cosaruciaru, trasformare la coltura in cultura

Articolo di Titti Metrico   Foto di Paolo Montanaro

Cosaruciaru (cosa dolce). Un fagiolo raro, dolce e pregiato, prodotto nelle campagne di Scicli. Il Cosaruciaru all’inizio del Novecento aveva un notevole peso nell’economia locale, veniva coltivato dai “ciumatari e cannavatari”, derivante da ciumi (il fiume), così come venivano chiamati i contadini proprietari di appezzamenti di terreni alluvionali, freschi e permeabili lungo il torrente Fiumara, tra Modica e Scicli. Giovanni Parisi mi ha accompagnato nella sua azienda agricola, tra Scicli e Cava d’Aliga, circondata da carrubi e ulivi, tra muretti a secco e strade senza indicazioni, proprio come dentro una scena della fiction di Montalbano. La sensazione che si prova a essere immersi nell’essenza della Sicilia Orientale è indescrivibile. Qualcosa di meraviglioso.
«Faccio l’agricoltore per passione, tramandata da generazioni, – ci racconta Giovanni Parisi -.

La mia famiglia mi ha dato la possibilità di scegliere un lavoro che mi permettesse di valorizzare questo territorio. Da piccolo, in campagna con i miei genitori e i miei nonni, ho iniziato ad amare la terra e guardare la coltivazione di quel fagiolo locale, al tempo, legato solo all’uso familiare. Finiti gli studi superiori in Agraria, ho seguito le orme della mia famiglia, proseguendo la coltivazione degli ortaggi in serra, soprattutto del fagiolo, ed anche di pomodori della varietà datterini e pixel. L’idea della trasformazione mi assillava, ma, in una terra abbandonata o meglio troppo sfruttata mi scoraggiava. Così nel 2012 sviluppai il mio progetto – continua Giovanni Parisi – fui spinto dai turisti di passaggio, che volendo acquistare i miei prodotti dicevano che volevano portarsi a casa un pezzo della mia terra, questo m’inorgogliva al punto che l’interesse mi ha spinto a preservare la produzione del Cosaruciaru nel tempo. Sono stato uno dei primi a trasformare solo ed esclusivamente il prodotto della mia azienda, e questo fagiolo, così dolce e leggero, ha permesso il suo utilizzo sia d’estate che d’inverno, quindi, non solo zuppe, paste e cotiche, ma, anche fresche insalate con tonno, basilico, pomodoro e cipolla. Da pochissimo tempo, dai fagioli viene ricavato un paté spalmabile, simbolo della versatilità del legume».

Come si coltiva?
«Per la coltivazione del fagiolo viene seguito un ferreo disciplinare di produzione che obbliga a fare tutti i passaggi a mano: semina, sarchiatura, trebbiatura, raccolta. Il fagiolo viene fatto essiccare all’aria aperta e congelare per un periodo a -25 gradi per eliminare l’eventuale presenza del torchio (un insetto dannoso, ndr)».

Il Cosaruciaro è la fiction Montalbano?
«L’attore Marcello Perracchio (il dottor Pasquano, ndr), modicano di nascita, durante le riprese di alcune scene a Scicli, si ricordò che nella sua infanzia si coltivavano dei fagioli screziati e dolcissimi, la sua mamma aveva una bottega vicino Scicli e i contadini barattavano i fagioli con pasta e farina. Così si è messo alla ricerca di qualche agricoltore che ancora oggi producesse questo fagiolo oramai scomparso. Perracchio si rivolse all’Ente di Sviluppo Agricolo e l’agronomo che accolse questa sua richiesta un giorno trovatosi nella mia azienda mi riferì cosa l’attore gli aveva richiesto: la sorpresa fu grande quando gli dissi che noi lo coltiviamo per uso familiare da sempre, da lì il Cosaruciaru è arrivato anche sulla tavola della fiction di Montalbano».

Come nasce il presidio Slow Food?
«Dopo Montalbano mi sono messo a fare una ricerca di aziende che producessero il Cosaruciaru, ho trovato così diversi produttori che ancora non avevano perso la loro identità continuando a tramandare così come ho fatto io, li ho riuniti dapprima in un’associazione e in seguito in un presidio Slow Food».


Come si riconosce il fagiolo Cosaruciuaru?
«Il Cosaruciaru è riconoscibile dal colore bianco panna con piccole scriature marroni attorno all’ilo».

Una rivoluzione in un legume, grazie a coltivatori che hanno trasformato la coltura in cultura.

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