Chiedetelo al re…Favola per pigri e piagnoni
I RACCONTI DI BIANCA a cura di Alessia Giaquinta
“C’era na vota…”. Beh, è proprio il caso di dirlo. La favola che vi racconto, tramandata anche negli scritti dello storico e studioso Giuseppe Pitrè, parla di laboriosità, meritocrazia e generosità, presentandoci un re tanto saggio quanto giusto, insomma una vera rarità.
Il sovrano di cui parliamo, regnava (tanto tempo fa…) a Palermo e aveva la fama di essere così buono e generoso che bastava chiedere per avere.
Fu così che, un bel giorno, un uomo senza arte né parte, si recò da lui per chiedergli l’elemosina. Indossava vesti discrete, aveva un portamento elegante e le mani bianchissime. Non aveva mai lavorato in vita sua perché – si lagnava – «nu sàcciu fari nudda sorti di fatica». Era, in altre parole, un fannullone che si crogiolava nella sua miseria e che altro non sapeva fare se non lamentarsi.
Il re, dopo averlo osservato, gli chiese: «Amicu, quantu aviti cumpratu sti càusi?»
«Maistà, cincu scuti», rispose l’uomo.
Il re continuò a chiedere: «E stu cileccu?», «Maistà, du’ scuti» disse prontamente l’uomo. E così via, per tutto l’abbigliamento.
Il re, però, contrariamente alle sue aspettative, non diede lui nessuna elemosina, anzi gli disse di andarsene e, magari, ritornare in séguito. Uscito dal castello, l’uomo iniziò a parlar male del re, a dire che era un sovrano senza cuore e senza pietà, e continuò così a lamentarsi per numerosi giorni.
Un giorno, invece, dal re si presentò un contadino con umili vesti, gli occhi affaticati e le mani nere e callose. Il re gli chiese cosa desiderasse. Il contadino rispose, senza esitare: «Na scecca».
«Na scecca? E perché?», domandò il sovrano.
Il pover’uomo, allora, raccontò che aveva sette figli e che non riusciva più a sfamarli da quando l’asino che possedeva era morto. La bestiola, infatti, gli era utile per portare e vendere la frutta e la verdura in città.
Il re non tardò ad accontentare il contadino. Anzi, gli diede cento onze dicendo: «cu quarant’unzi ti accatti ‘na mula e lu riestu ti viesti li figli e la muglieri».
Quel denaro non fu mai smarrito, tutt’altro: si centuplicò nel tempo, divenendo una vera fortuna. Il contadino e la sua famiglia vissero “felici e cuntenti”…
E a noi? Beh, per chi non vuol capire, “nenti”!