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Clara Alonso sarà la madrina della II edizione del Caltagirone Short FilmFest

 Clara Alonso sarà la madrina della II edizione del Caltagirone Short FilmFest, il festival internazionale che promuove e premia le produzioni che raccontano la terra siciliana e le sue tradizioni. 

Volto del cinema e della tv, l’argentina Clara Alonso ha interpretato il ruolo di Angela Saramego nella serie tv dal successo internazionale Violetta. Nel 2015 prende parte alla terza edizione della trasmissione Notti sul ghiaccio (RaiUno) arrivando in finale. Nello stesso anno recita nella serie tv Lontana da me (Raiplay) accanto a Mirko Trovato: una tormentata storia d’amore tra un graffitaro romano e una ballerina argentina dal futuro radioso. Nel 2016 partecipa a Dance Dance Dance (Fox e Foxlife) in coppia con Diego Dominguez, classificandosi al primo posto. Nel 2018 recita nella commedia grottesca Il tuttofare di Valerio Attanasio, accanto a Sergio Castellitto, Guglielmo Poggi ed Elena Sofia Ricci. Il suo ultimo lavoro per la televisione è la serie argentina di genere fantasy Intrecci del passato, giunta alla seconda stagione.

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La II edizione del Caltagirone Short FilmFest si terrà dal 13 al 15 luglio 2023. Tra le sezioni competitive del Festival vi sono il Concorso Cortometraggi internazionali, il Concorso Cortometraggi siciliani e il Concorso Videoclip internazionali.  

 

Il Caltagirone Short FilmFest – ideato da Angela Failla, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice – è organizzato dal Comune di Caltagirone ed è dal medesimo patrocinato insieme alla Regione Sicilia. Le giornate del festival si terranno in alcuni degli spazi più suggestivi del centro storico di Caltagirone, luogo insignito del titolo di Patrimonio Culturale dell’UNESCO nel 2002. 

 

Il Festival, che sin dalla sua nascita si prefigge lo scopo di promuovere, stimolare e sostenere la cultura cinematografica e dell’audiovisivo, rivolge una particolare attenzione al cinema più giovane e innovativo. La direzione artistica della kermesse è affidata ad Angela Failla e alla producer, attrice e cantante Eva Basteiro-Bertolí.

 

Fino al 25 giugno 2023 è aperto il bando di concorso sulla piattaforma Filmfreeway: https://filmfreeway.com/CaltagironeShortFilmFest

 

Tutti i dettagli e gli aggiornamenti sul sito ufficiale del Caltagirone Short FilmFest.

 

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Smartisland, in aiuto alle colture agricole

di Merelinda Staita  foto di Maria Luisa Cinquerrui

Maria Luisa Cinquerrui, originaria di Niscemi, città in provincia di Caltanissetta, è alla guida di Smartisland, una startup che punta ad abbassare i costi di coltivazione e a sviluppare metodi di coltivazione innovativi, adeguati ai tempi e anche ecosostenibili. I suoi “piccoli robot”con intelligenza artificiale sono in grado di sottoporre a monitoraggio le colture e le coltivazioni in serra. Incuriosita dalla sua personalità, e dai suoi progetti di innovazione digitale, ho deciso di intervistarla per scoprire come è nata la sua attività e soprattutto per comprendere l’importanza della tecnologia Daiki.

maria luisa cinquerrui

Chi è Maria Luisa Cinquerrui?
«Sono laureata in Ingegneria informatica e delle Telecomunicazioni e sono la fondatrice e amministratrice di Smartisland Group Srl. Ho iniziato a lavorare al progetto durante la tesi di laurea. Ho avuto l’idea di dar vita al primo prototipo di Bioscanner, sistema biometrico alimentare, che prende il nome di Daiki. Così ho deciso di dedicarmi pienamente al progetto e creare una startup».

Com’è nata Smartisland?
«Smartisland nasce all’interno della mia azienda agricola di famiglia e da un bisogno vissuto all’interno dell’azienda stessa. Comincia dalla necessità di risolvere problematiche alle colture, dovute alle condizioni climatiche sfavorevoli e all’uso squilibrato di concimi e irrigazione».

Come funziona Daiki?
«La tecnologia Daiki è proprietaria della Smartisland Group Srl registrata al registro delle startup innovative di Caltanissetta nel 2017 e registrata con marchio internazionale presso l’ufficio Eipo il 27 dicembre 2018. Il progetto proposto per l’Azienda Agricola Bioaretusa Società Agricola Srl ha l’obiettivo di generare un sistema di fertirrigazione di precisione capace di controllare e rilevare dati attraverso una rete IIoT, ossia una rete di tecnologie connesse ad internet capaci di controllare e gestire processi industriali attraverso la rilevazione di dati relativi al fabbisogno idrico e di concimazione, rilevati da una rete di dispositivi in grado di monitorare dati come espressi successivamente da Daiki Modular Cloud Platform. La rete di dati connessa in rete attraverso nodi Wi-Fi si interfaccia attraverso un trasduttore industriale ad altre macchine come il sistema di fertirrigazione con l’obiettivo di inviargli dei comandi e permettere la gestione telematica di processi di fertirrigazione a seguito dell’analisi e/o allarmi provenienti dall’analisi di dati agricoli. Daiki Modular Cloud Platform entra ufficialmente nel mercato nel maggio del 2020, è la prima tecnologia al mondo ad essere un sistema di edge intelligence per l’agri-food, identificato come un computer modulare in grado di raccogliere dati e quindi informazioni relative allo stato di vita di una coltura. Nel caso del Daiki Platform sarà possibile monitorare le condizioni dello stato del terreno a diverse profondità come: temperatura e umidità aria, conducibilità elettrica del terreno correlata a umidità e temperatura alle profondità di 15 e 30 cm. L’utilizzo della tecnologia Daiki per la coltivazione di agrumi permetterà un risparmio irriguo intorno al 35 per cento correlato a una prevenzione di parassiti e virus, permettendo quindi una maggior tutela all’impatto ambientale. Grazie all’utilizzo di Daiki sarà possibile controllare quando concimare, evitando lo spreco di risorse chimiche e ridurre un eventuale inquinamento ambientale. Inoltre, attraverso il monitoraggio della quantità del drenaggio sarà possibile monitorare il reale fabbisogno idrico delle piante e controllare i corretti passaggi irrigui e idrici, ma anche assimilare la corretta nutrizione delle piante».

Quali sono i prossimi obiettivi?
«I prossimi obiettivi sono legati all’apertura su Niscemi e Latina di una sede sperimentale con campi sperimentali e all’industria sullo sviluppo tecnologico di sistemi per l’agricoltura e per il settore alimentare. Quest’anno Smartisland inizia la fase di internazionalizzazione».

Carnevale Chiaramonte Gulfi

“Una pazzia allegra e chiassosa”: il Carnevale a Chiaramonte Gulfi

di Alessia Giaquinta – foto di Fabiano Roccuzzo

Si ritorna a festeggiare il Carnevale a Chiaramonte Gulfi: uno dei più antichi e belli di Sicilia.
L’etno-antropologo Serafino Amabile Guastella (1819-1899) nel suo volume “L’Antico Carnevale nella Contea di Modica” – edito nel 1887 – ci rende testimonianza del divertimento, maschere, miniminagghie, sapori e usi che caratterizzavano, dal 1600 alla prima metà del 1800, questa festa in cui “licet insanire”, è lecito fare pazzie.

Era una pazzia allegra e chiassosa, scrive il Guastella, delineando gli aspetti dell’antico carnevale, che allora durava circa tre settimane. A scandirne l’inizio erano le contadine di Chiaramonte che, il 1° febbraio (vigilia della Madonna della Purificazione) si recavano sul monte Arcibessi e qui si ungevano con la rugiada mattutina dei campi, come rito di purificazione, recitando preghiere e lodi alla Madonna, perché le benedicesse.

Altri momenti rituali, a Chiaramonte, erano il mercoledì “di lu Zuppiddu”, il giovedì “di li cummari” e, infine, il giovedì grasso “di lu lardaloru. Queste erano le occasioni in cui si facevano opere di carità e si rafforzavano i rapporti “tra compari. Il tutto, certamente, in allegria. Le miniminagghie (indovinelli) e gli scioglilingua erano, certamente, il passatempo preferito di quel tempo.

Giunta la sdirruminica, ossia la domenica di Carnevale, era conveniente “farsi amica a la monica. In questa occasione, infatti, le monache preparavano i dolci della tradizione e li davano in regalo alle famiglie amiche: pagnuccata, cannoli, teste di turco, e chissà quante altre bontà!

I giorni a seguire erano noti come “i due giorni del pecoraio” perché, si narra, che Gesù li concesse al pastore, giunto troppo tardi dalla campagna, per potere partecipare ai divertimenti della domenica. In queste giornate, u sdirriluni e u sdirrimarti (lunedì e martedì di Carnevale), oltre a magnificare il maiale in succulenti piatti preparati dalle massaie e alla condivisione di questi con i meno abbienti, tutte le categorie e i ceti sociali erano coinvolti in quello che potrebbe considerarsi un vero e proprio momento liberatorio. Mascherati buffamente con cappelli di zucche, corna di animali e baffi fatti con code di coniglio, uomini e donne si lasciavano andare in “satire fieramente aggressive” in cui la piramide delle classi sociali si invertiva.

In questa occasione, tutto era consentito a tutti.

Ecco che, specialmente le donne dei villani, si scatenavano in versi pungenti e, senza timore, lanciavano ingiurie ai ricchi.

Una delle maschere più bizzarre era la Moglie di Carnevale – scrive il Guastella – colossale bamboccio, la quale traeva immani ululati, perché sui dolori del parto. A un determinato luogo (…) ecco che dalla gonna voluminosa sbucava a furia una nidiata di pulcinelli, i quali venuti appena alla luce, si avventavano ai fiaschi, e si davano a ballare sonando i tamburelli e le nacchere”.

Balli, salti e capitomboli sino alla tarda sera quando, tra pianti e lamenti, si celebrava la morte di Carnevale e l’inizio della Quaresima.

carnevale chiaramonte

La tradizione del Carnevale a Chiaramonte, oltre che di fama, gode di una lunga e importante storia che non ha perso importanza, nonostante le conseguenze causate dagli anni di sosta dovuti al Covid.

È lodevole, in questo senso, l’impegno profuso dell’attuale amministrazione non solo per la tutela ma anche per il rilancio di questa tradizione.

«Dopo tre anni di sosta, stiamo tentando di innescare nuovamente la cultura del carro di Carnevale – dichiara la vicesindaca Elga Alescio –. In questi anni non c’è stato un ricambio generazionale e le maestranze non sono state facilmente ereditate. Il nostro obiettivo è rilanciare le associazioni ed organizzare una super associazione che coordini tutte le attività del Carnevale».

Tra le novità di quest’anno (oltre alla tradizionale sfilata e al dj in piazza previsti per la domenica e il martedì di Carnevale) ci sarà un giorno in più di festeggiamenti, ossia sabato 18 febbraio. Inoltre è stato messo a punto un nuovo format della tradizionale Sagra della Salsiccia, lunedì 20.

 

Cunti

Jana salva la regina

Rubrica “I Cunti”

a cura di Alessia Giaquinta

Sì figghiu ri Jana?”: avete mai sentito pronunciare questa frase?

L’origine è, in effetti, molto antica e viene attribuita ad una leggenda che vede protagonista il castello di Motta Sant’Anastasia, nel Catanese. È proprio qui, infatti, che nei primi anni del 1400 viveva la regina Bianca di Navarra divenuta Vicaria del Regno di Sicilia, dopo la morte del marito re Martino.

Bernardo Cabrera, Conte di Modica, interessato ad accrescere il suo potere, cominciò allora a corteggiarla spietatamente, inseguendola in ogni castello e in ogni luogo che ella frequentava: voleva sposarla per diventare il nuovo re di Sicilia.

La regina, che non era affatto interessata al Conte, rifiutò ogni suo corteggiamento anzi, grazie all’aiuto del suo ammiraglio, lo fece catturare e rinchiudere all’interno del castello di Motta Sant’Anastasia, prima in una cisterna e poi in una stanza della torre dove, nonostante tutto, egli continuava a vivere con la speranza di poter conquistare la regina.

Ed è in questo momento della storia che entrò in gioco un’altra donna, il cui atteggiamento astuto fu risolutivo. Parliamo di Jana (il cui nome deriva dal latino Ianus= dalla doppia faccia), fedele damigella di Bianca di Navarra. Ella, infatti, tramò un piano del tutto particolare per proteggere la sua amata regina.

Jana dunque indossò le vesti maschili da paggio di corte e si diresse nella stanza del Conte e, dopo esser entrata nelle sue grazie, riuscì a fargli credere che lo avrebbe aiutato a fuggire dal castello e a conquistare la regina.

Il Conte Cabrera si fidò ciecamente all’istante e seguì le istruzioni che quell’insolito paggio gli aveva fornito. Indossati i vestiti da contadino, il Conte avrebbe, infatti, dovuto calarsi dalla finestra tramite una corda retta dal paggio (Jana) e una volta giunto a terra poteva riprendersi la sua libertà e correre dalla regina.

Certamente il piano prevedeva un finale differente da quello prospettato al Conte: Jana, infatti, lasciò immediatamente la presa della corda e il Conte cadde dentro una rete dove fu tenuto prigioniero per tutta la notte, tra pianti e lamenti. Il mattino seguente l’astuta damigella si rivelò al Conte e ordinò che fosse imprigionato presso il Castello Ursino di Catania.

Da allora la regina Bianca non ricevette più i fastidiosi corteggiamenti del Cabrera, lodando e ringraziando per sempre la scaltra Jana, considerata per questo anche leggendaria icona dell’astuzia femminile.

Galati Mamertino. La capitale degli zampognari

di Rosamaria Castrovinci, foto di Gaetano Drago Photography e Salvatore Di Nardo

Galati Mamertino, nel cuore dei Nebrodi, è chiamata “la capitale degli zampognari” per via dell’altissima percentuale di suonatori di questo originale strumento (attualmente se ne contano poco meno di un centinaio di tutte le età).

Pare che a Galati la zampogna si suoni da oltre 200 anni. Secondo alcune testimonianze, durante il 1800 gli zampognari di Galati venivano ingaggiati da famiglie di Bagheria per andare a suonare privatamente la Novena natalizia. Una tradizione questa che è andata lentamente scemando ma che tuttora vede alcuni zampognari galatesi continuare a recarsi a Bagheria per suonare la Novena su commissione.

Per raccontare meglio questa tradizione ho voluto intervistare un costruttore di zampogne.

Il signor Pinello Drago costruisce zampogne all’incirca dagli anni ’90, quando ha iniziato ad avvicinarsi alla musica popolare siciliana, inizialmente come musicista, per poi costruire, completamente da autodidatta, flauti e zampogne. Queste ultime venivano fino ad allora acquistate a Rometta (ME). Infatti, nonostante l’alto numero di suonatori, nel borgo non vi era nessuno che le costruisse.

A lui ho chiesto di spiegarmi com’è formata materialmente una zampogna e cosa serve per costruirla.

«È necessario il legno stagionato (per un minimo di 2 anni), il tornio, i vari attrezzi e la pelle di capra che serve per costruire l’otre. La parte in legno che contiene le canne (i chanter) si chiama testale. Le zampogne possono avere 4 o 5 canne, le due principali sono i bordoni (quella di destra produce il canto mentre quella di sinistra l’accompagnamento), le altre solitamente suonano una nota fissa ad altezze diverse. La pelle di capra va lavorata in un determinato modo per costruire l’otre, oltre ad essere messa sotto sale per un certo periodo di tempo, va cucita in modo che non entri aria e si va ad inserire la testata nel collo e l’insufflatore in uno degli arti, mentre gli altri arti verranno chiusi».

In Sicilia ci sono due tipi di zampogna, quella “a paro” e quella “a chiave”, tipica di Monreale, mi può spiegare le differenze?

«Quella “a paro”, che si suona a Galati, è la zampogna prettamente siciliana e calabrese, nella quale i due chanter principali sono di pari lunghezza; quella “a chiave” molto probabilmente è stata importata da Napoli durante il Regno delle due Sicilie, ha un impianto sonoro diverso e i due chanter non sono di pari lunghezza».

Ho cercato di capire cosa ha spinto negli anni i giovani galatesi ad avvicinarsi a questo strumento, sicuramente tipico ma non di certo uno dei più comuni. Ho intervistato così Antonio Vitanza, un ragazzo di 24 anni che suona la zampogna da quando di anni ne aveva 12. Antonio mi ha raccontato che a Galati la tradizione è così sentita che i giovani crescono circondati dal suono delle zampogne, ed è proprio questa atmosfera che lo ha invogliato a imparare. I giovani di Galati per il periodo della Novena suonano prevalentemente nel paese, ma alcuni si spostano per andare a suonare anche nei paesi limitrofi, accompagnati dai suonatori di tamburo. Antonio ha coltivato questa passione negli anni e non l’ha mai accantonata, nemmeno adesso che vive in Emilia Romagna, dove gli hanno già chiesto di suonare la sua zampogna per allietare le festività natalizie.

Infine ho sentito il sindaco di Galati, l’avv. Vincenzo Amadore, al quale ho voluto chiedere qualche informazione in più sugli eventi dedicati alla Zampogna.

«La Festa della Zampogna, nata in passato per la forte presenza di suonatori (che attualmente sono circa un centinaio) è stata riproposta di recente per promuovere lo sviluppo del territorio, legandolo anche alla peculiare presenza di questo strumento. Dopo lo stop per via del Covid-19, quest’anno la festa si svolgerà regolarmente sempre nel periodo natalizio. Ma non è l’unico evento, vorrei organizzare in futuro anche una sorta di festival o raduno degli zampognari che porti a Galati anche i suonatori e gli appassionati del resto della Sicilia e d’Italia».

Un libro sotto l’albero

A cura di Alessia Giaquinta

Vorresti forse rinunciare all’inebriante profumo di carta e alla piacevolezza di accarezzare, con cura, ogni pagina di una storia, questo Natale?

Spero proprio di no. Sebbene qualcuno faccia fatica ad apprezzare i libri, sono certa che tu che stai leggendo sei tra coloro che, invece, spera di riceverne qualcuno in regalo, magari proprio in questa festività.

Diciamoci la verità: i libri regalati hanno un gusto diverso. Qualcuno, infatti, li ha scelti per te, quindi ha avuto cura di conoscerne i dettagli e le sfumature prima di fartene dono. Ecco perché è importante il momento della scelta. I libri ci chiamano, comunicano dalle copertine, o spesso, attendono di essere sfogliati per concedersi alla nostra attenzione…

A chi ha in mente di scegliere un libro da regalare, per questo Natale, voglio suggerire qualche “Titolo” del Maestro Andrea Camilleri (1925-2019): il celebre autore siciliano, infatti, vanta un vastissimo panorama di scritti, per tutti i gusti e tutte le età…

Te ne indico tre nel dettaglio, a cui farò seguire una presentazione o citazione tratta dal testo, certa del fatto che possa aiutarti a fare un dono interessante e gradito a chi più ami, ai più piccoli, e certamente anche a te stesso.

 

Topiopì

(Indicato per bambini dai 5 agli 8 anni)

Questa non è una favola, ma una storia vera… Nenè frequenta la scuola elementare e trascorre l’estate in campagna, dai nonni. Gli piace alzarsi presto per accompagnare la contadina Rosalia a dare da mangiare agli animali: la mula, il cavallo, l’asino, e poi il gallo, le galline, i conigli e le capre. Un giorno Nenè trova ad attenderlo una sorpresa: in fondo al pollaio c’è una cesta con una dozzina di pulcini appena nati…

Maruzza Musumeci

(Consigliato per gli amanti dei miti e leggende)

«Nenti ci capii. Voliti spiegarvi meglio?».

«Diciva che lei non teneva la natura, che era nasciuta diversa, (…) È una vestia marina. La parti di supra, fino al viddrico, è di fìmmina cu dù beddri minne, la parti di sutta è a cuda di pisci. Infatti la sirena non pò caminare, ma nata».

 

Ora dimmi di te. Lettera a Matilda

(Consigliato per chi ama le biografie)

«Matilda mia, ho imparato pochissime cose e te le dico (…) Noi oggi siamo dei morti che camminano. Morti nel senso che le nostre convinzioni appartengono a un tempo che non ha futuro, quindi “lasciate che i morti seppelliscano i morti”. I giovani hanno in loro la capacità di far questa tabula rasa e di ridare alla politica la sua etica perduta. Sono certo che questa mia fiducia non sarà tradita».

Sicilia da record

di Alessia Giaquinta,

foto di Lorenzo Monaco, Samuel Tasca, Luca Triptico

Unica, bellissima e con attrazioni da record. La Sicilia è terra di profumi e colori unici, è la patria dell’antico filosofo Empedocle, è la terra del geniale Archimede, è il luogo dove – secondo leggenda – Plutone rapì Proserpina alla madre e così nacquero le stagioni. È in quest’isola, piena di contraddizioni, che mito, arte e storia si incontrano ad ogni passo, fondendosi con la poesia degli incantevoli paesaggi e regalando, quotidianamente, emozioni e suggestioni da guinness.

E visto che parliamo di primati, eccovene alcuni:

 

L’AREA ARCHEOLOGICA PIÙ GRANDE AL MONDO

Costellata da possenti mandorli e ulivi centenari, la Valle dei Templi di Agrigento è un luogo unico per storia, ricchezza di reperti e dimensioni. Coi suoi 1300 mq di estensione è l’area archeologica più grande al mondo e una delle testimonianze meglio conservate dell’antichità. Dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1997, è sede di uno straordinario complesso di templi dorici, risalenti al V secolo a.C., di santuari rupestri, fortificazioni, necropoli, agorà e opere idrauliche dell’antichità, capaci di regalare al visitatore un’atmosfera suggestiva senza pari.

 

IL PIÙ GRANDE E COMPLESSO OROLOGIO MECCANICO

Si trova a Messina, in piazza Duomo, ed è incorporato nel maestoso campanile che affianca la Cattedrale. Fu costruito dalla ditta Ungerer di Strasburgo nel 1933 e, tutt’oggi, costituisce la principale attrattiva della città. Allo scoccare di mezzogiorno, infatti, il complesso meccanismo si attiva consentendo alle statue automi, in bronzo, che si trovano sulla facciata di muoversi sullo sfondo sonoro dell’Ave Maria di Schubert. Lo spettacolo, che ogni giorno richiama centinaia di turisti, dura complessivamente 12 minuti.

LA CASA PIÙ STRETTA AL MONDO E IL BALCONE PIÙ LUNGO

Anche l’architettura civile presenta delle peculiari unicità. A Petralia Sottana si trova la cosiddetta “Casa du currivu” (casa del dispetto) che ha la fama di essere la casa più stretta al mondo. Pensate che è larga solamente un metro ed è stata costruita, a metà del secolo scorso, con lo scopo di fare sfregio al proprietario dell’abitazione dirimpettaia, oscurandogli la vista del panorama. Insomma: un dispetto da guiness!

Il balcone barocco più lungo, invece, si trova a Palazzolo Acreide. Sorretto da 27 buffi mascheroni – ognuno con un’espressione diversa dall’altra e aventi la funzione di allontanare la sfortuna e gli spiriti maligni – e coi suoi 30 metri di lunghezza, la balconata di Palazzo Judica – Cafici (oggi Caruso) è un altro record da attenzionare.

 

IL CANNOLO PIÙ LUNGO

Ne è stata comunicata l’ufficialità da pochissimo: a Caltanissetta, l’11 settembre scorso è stato prodotto il cannolo più grande al mondo. Pensate che la sua lunghezza era di 21 metri e 43 centimetri ed è stato farcito “solamente” con settecento chili di ricotta. Ho utilizzato i verbi al passato perché, come potete intuire, il cannolo da guinness è stato immediatamente consumato dalle migliaia di persone presenti all’evento che è stato patrocinato dalla Regione Sicilia, Sac Società Aeroporto Catania, dalla ProLoco e dalla Camera di Commercio di Caltanissetta.

 

IL PRIMO BIKINI DELLA STORIA

Proprio così. In Sicilia il celebre due pezzi era già in voga tra il I e il II secolo d.C. A testimoniarcelo sono i meravigliosi mosaici della Villa Romana di Piazza Armerina. Insomma il moderno bikini, la cui invenzione si fa risalire al sarto francese Louis Réard, nel 1946, in Sicilia era già una vecchia storia!

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Il pozzo di Gammazita: leggenda e realtà si fondono nelle acque della città

di Samuel Tasca

All’interno del centro storico di Catania, lungo la via San Calogero situata nei pressi del Castello Ursino, si trova l’antico pozzo di Gammazita, luogo mistico e peculiare che appartiene al patrimonio culturale della città, attorno al quale si intrecciano diverse leggende popolari.

La più nota, che risale ai tempi della dominazione angioina, è quella della giovane Gammazita, una fanciulla catanese che nel giorno del suo matrimonio, recatasi al pozzo per attingere alla fonte, fu preda di un soldato francese, il quale si era invaghito di lei. Proprio come Sant’Agata, patrona della città, che scelse il martirio per non cedere alla brama del proconsole romano Quinziano, anche la giovane sventurata preferì lanciarsi nel pozzo pur di non finire preda di quella violenza.

In realtà Gammazita era il nome della fonte d’acqua che nel XII secolo alimentava l’antico quartiere giudeo fornendo l’acqua ai suoi abitanti. Questa, come buona parte della città, fu devastata dall’eruzione del 1669 che ricoprì interamente il pozzo di pietra lavica. Fu proprio per il ruolo fondamentale che aveva svolto nella vita dei catanesi, che questi decisero di riportarlo alla luce, ricostruendo all’interno la pittoresca scala che scende in profondità per circa dodici metri. È qui che, come spesso accade, realtà e leggenda si fondono insieme: le tracce rossastre di magnesio e ferro ritrovate sulle pareti del pozzo furono, infatti, associate alle macchie rosse del sangue della povera Gammazita.

Come successe per l’antico Teatro Romano, anche questo luogo non fu pienamente preservato da uno sconsiderato proliferare urbanistico. L’antico pozzo, infatti, risiede oggi all’interno di un cortile attorniato da abitazioni private costruite nell’‘800. Negli ultimi anni, però, grazie all’azione dell’Associazione Gammazita, che porta avanti numerose iniziative nel quartiere, il pozzo di Gammazita è tornato visitabile durante le visite guidate organizzate dai volontari dell’Associazione. Grazie al loro impegno, infatti, molti catanesi e visitatori hanno avuto la possibilità di riscoprire questo tesoro nascosto all’interno della loro città, rivivendo il sacrificio della bella Gammazita, che scelse la morte per non tradire il suo vero amore.

anteprima pizzi e merletti

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di Giulia Monaco   Foto di Emanuele Carpenzano

 

Dolce e Gabbana ne hanno fatto un must-have, e ne fanno largo uso nelle loro collezioni, omaggiando un’ideale di femminilità sospeso tra passato e presente: l’ elegantissimo pizzo siciliano, che richiama le atmosfere mediterranee di una volta, è il protagonista indiscusso delle passerelle, di brand di moda Made in Italy e di abiti da sposa griffati scelti dai vip.

 

Se volgiamo un attimo lo sguardo a una Sicilia d’altri tempi, con un po’ di immaginazione riusciamo a scorgere delle giovani donne intente a confezionare con solerzia il loro corredo, creando con grande maestria degli arabeschi di pizzo destinati a impreziosire tovaglie, vesti e stoffe, rendendole eleganti e leggiadre. Le immaginiamo ingegnarsi con aghi, fili, fuselli e uncinetti, e a intessere punto dopo punto armoniose trame di pizzi, merletti e trine da applicare alla biancheria più pregiata, per custodirla poi sotto naftalina nei cassetti di un grande comò, in attesa di coronare il loro grande sogno d’amore. Ancora adesso, aprendo quei vecchi cassetti, potrebbero spalancarsi davanti ai nostri occhi tracce di quella Sicilia mai dimenticata, che oggi gode di un fascino iconico e intramontabile.

 

Ma da dove nasce la tradizione dei merletti siciliani?

La parola “merletti” deriva dal termine “merli”, gli elementi architettonici sagomati che sovrastavano torri e palazzi medievali. La Sicilia vanta una tradizione del merletto molto antica, attestata già nel 1400, quando veniva spesso eseguito con filati d’oro e d’argento che ornavano tessuti pregevoli. Questa tradizione risale al dominio dei Saraceni, che introdussero nell’isola i primi laboratori di tessitura e ricamo, e si consacra poi sotto la corte di Spagna.

Tra i manufatti in pizzo siciliano, ce n’ è uno richiestissimo dalle spose, conclamato dai grandi brand di moda, che ha fatto la sua comparsa in matrimoni celebri e in serie cult: stiamo parlando della mantilla, un capo d’abbigliamento che si diffuse in Sicilia nel ‘500, durante la dominazione spagnola. L’accessorio proviene da un’antica usanza diffusa nella penisola iberica, che vedeva donne del “pueblo”, cioè le popolane, utilizzarlo come adorno oppure come riparo.  Ma quando la regina Isabella II (che regnò tra il 1833 ed il 1868) cominciò a indossare la mantilla in tutti gli eventi ufficiali, acquisendo un’aurea elegante e sofisticata, ecco che il suo uso si estese anche nei ranghi dell’aristocrazia. Potremmo definire la regina Isabella un’influencer del suo tempo? Certamente sì, e anche di grande impatto: infatti, tutt’oggi la mantilla è considerata uno degli accessori più chic negli ambienti di alta moda, ed è richiestissima dagli atelier di abiti da sposa.

 

Nessuna terra come la Sicilia sfugge da qualsiasi cliché, piena com’ è di meraviglie e di mille contraddizioni. Anche la moda e l’ eleganza siciliane sono in qualche modo senza luogo e senza tempo, figlie di una commistione di culture e popoli così distanti tra loro, e così ricchi nella loro diversità, da rendere lo stile siculo unico al mondo.  Il merletto siciliano ne è un chiaro emblema: i decori sono spesso eseguiti liberamente, secondo la fantasia dell’ esecutore o dell’ esecutrice, che realizza un’armoniosa sequenza di pieni e vuoti senza un disegno prestabilito. Più che di artigianato potremmo parlare di una vera e propria arte figurativa, visto il grande impatto di sfilati, merletti e macramè sui canoni estetici del tempo.

 

Elegante e sofisticato, chic e ricercato, il pizzo siciliano si consacra come elemento iconico che ha segnato e continua a segnare la storia della moda e del costume, da custodire e amare per sempre.

Villino Ida min

La Città Metropolitana di Palermo candidata alla Rete Réseau Art Nouveau

 

Il Comitato Scientifico della Rete Réseau Art Nouveau, nella sua ultima seduta ha approvato la candidatura della Città Metropolitana di Palermo a membro a pieno titolo della RANN (Réseau Art Nouveau Network). Ecco la motivazione:

«La documentazione presentata attesta la presenza nella città Metropolitana di Palermo di un pregevole patrimonio liberty che trova ampiamente riscontro nella bibliografia scientifica presentata a sostegno della candidatura. Altrettanto importante ci sembra la presenza di un ampio materiale documentario e archivistico. Il progetto “Itinerario del Liberty” che ci è stato presentato come uno strumento fondamentale per la valorizzazione e la promozione di questo patrimonio, ci è sembrato un ottimo strumento di sensibilizzazione del grande pubblico e ne auspichiamo una buona conservazione. Constatiamo con soddisfazione che la candidatura della città può contare su un’importante sinergia tra il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo, l’amministrazione pubblica, Legambiente e gli uffici per la conservazione del patrimonio pubblico».

Il RANN raccoglie le principali città europee che sono caratterizzate da una forte presenza di espressioni dell’Art Nouveau che ha lo scopo di valorizzare questo patrimonio promuovendo attività ed eventi tra e nelle città che ne fanno parte.

A seguito del parere positivo per la candidatura la Città Metropolitana di Palermo è stata invitata a presenziare alla prossima assemblea regionale RANN che si terrà il 3 giugno 2022 a Nancy.

 

Il Sindaco, Leoluca Orlando, ha espresso il proprio “apprezzamento per questo prestigioso riconoscimento internazionale che riconosce Palermo e il Liberty in posizione di eccellenza internazionale a conferma di questa ulteriore ragione di attrattività della Città e della intera area metropolitana“. 

L’architetto Paola La Scala, referente dell’itinerario culturale sul Liberty a Palermo per Legambiente Sicilia, ha così commentato  “tale candidatura è la realizzazione di un’idea che, tassello dopo tassello, è diventato un progetto di conoscenza e valorizzazione del nostro patrimonio. Rappresenta una tappa fondamentale di un percorso, condiviso fra gli attori che vi hanno preso parte, che contribuirà a riscoprire e restituire alla comunità l’unicità di alcuni dei siti più rappresentativi dell’intera area metropolitana