L’anima vagante di Bellina e le donne più belle di Sicilia

a cura di Alessia Giaquinta

Cu voli sali vaja a Trapani, cu voli beddi vaja a lu munti”. Così recita un antico proverbio della tradizione popolare, facendo riferimento alla credenza che le donne più belle di Sicilia si trovino ad Erice, città montuosa del trapanese.

Per rintracciare il motivo di questo privilegio va consultata non solo la storia, bensì anche i miti e le leggende che ammantano Erice di fascino e mistero. In cima alla vetta della città, anticamente, fu edificato il sacro “thémenos”, un santuario a cielo aperto dedicato alla dea della bellezza e della fertilità, destinato ad essere il più famoso della Sicilia. In questo tempio le bellissime sacerdotesse erano solite congiungersi coi viandanti marinai, in un amplesso amoroso legato ai riti sacri alla dea.

Pare che, il giorno della nascita di Gesù, quel luogo – simbolo di paganesimo e sfrenate passioni sessuali – crollò e al suo posto fu edificata una chiesa e completato il maniero oggi conosciuto come “Castello di Venere”. La fama della bellezza delle donne che qui abitavano, invece, non crollò mai, anzi fu perpetrata nei secoli.

Nel medioevo Erice fu, infatti, protagonista di un’altra storia di amore e bellezza, il cui racconto è giunto sino a noi sotto forma di mito. Si narra che Bellina fosse la ragazza più avvenente e fascinosa della città. I suoi lineamenti angelici e la sua grazia erano capaci di ammaliare qualsiasi uomo le stesse innanzi.

La donna, però, aveva promesso il suo cuore ad un uomo che, costretto a partire in guerra, non fece mai più ritorno. Prima della sua partenza, egli aveva regalato a Bellina un anello, quale pegno del suo amore. Il prezioso monile divenne per la donna, però, anche una triste condanna. Uno dei tanti spasimanti che bramava l’amore di Bellina, si servì della collaborazione di un mago il quale, trasformatosi in un gioielliere pronto a ripulire e lucidare l’anello, glielo sottrasse. Il perfido uomo ricattò Bellina, le avrebbe riconsegnato il gioiello a patto del suo amore. La donna rifiutò con forza le avances dell’uomo che, inasprito dall’atteggiamento di lei, lanciò l’anello tra i rovi, maledicendo la giovane. Il potente sortilegio la condannò ad essere trasformata in una nera biscia.

Si dice che l’anima di Bellina vaghi ancora tra le terre di Erice alla ricerca dell’anello che, solo una volta trovato, la riporterà a splendere in tutta la sua bellezza accanto all’amato, a cui è rimasta fedele ormai da secoli e secoli.

Editoriale n.37

di Emanuele Cocchiaro

Care lettrici e cari lettori

Sono assai felice di introdurvi alla lettura di un numero di Bianca “eccellente”!

E non uso questo aggettivo tanto per dire. Il concetto di eccellenza, che da sempre è alla base delle nostre storie, lo trovate, infatti, particolarmente concentrato nelle pagine che leggerete a seguire.

Con tutta la redazione abbiamo lavorato per regalarvi un numero che, ancora meglio, saprà farvi innamorare della nostra straordinaria Sicilia, terra di record, specialità e talenti apprezzati in tutto il mondo.

A partire dall’Etna, vivo e palpitante Patrimonio UNESCO, all’architettura barocca siciliana che per la sua unicità è anch’essa annoverata quale Patrimonio dell’Umanità. Vi racconteremo la nostra Sicilia da record: è qui, infatti, che si trovano alcune delle cose più uniche al mondo: dalla casa più stretta al cannolo più grande, al primo bikini della storia!

E poi ancora l’intervista a Salvatore Martorana che con i suoi capi veste i potenti di tutto il mondo; a Peppino Castello, uno degli ultimi cantastorie che continua ad affascinare le piazze con le sue storie di sicilianità; Maria Grammatico, la famosa pasticciera di Erice, apprezzata fuori i confini nazionali. E tanto, tanto altro ancora!

Sono certo che, leggendo le storie che vi abbiamo proposto in questo numero, riuscirete a sentire l’emozione e l’orgoglio siciliano che risiede in ciascuno di noi, talvolta assopito o mai considerato abbastanza. Perché, forse, ci manca la consapevolezza dell’unicità, delle potenzialità e di tutto ciò che di esclusivo la nostra terra ci offre, ogni giorno. Una consapevolezza di cui dobbiamo appropriarci e che deve costituire il legame di amore con la nostra meravigliosa terra.

Lo scrittore Goethe, dopo aver visitato la nostra isola, disse: “È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… Chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.

Quanto siamo fortunati!

Buona lettura

L’ editore

Emanuele Cocchiaro

I piaceri della tavola a “La Ruota” di Vizzini

di Alessia Giaquinta

   foto di Samuel Tasca

 

Se Verga fosse nato in quest’epoca probabilmente avrebbe dedicato a “La Ruota” uno dei suoi scritti più accattivanti. Questa affermazione non deriva solo dal fatto che il ristorante-pizzeria si trova a Vizzini – città natìa del celebre scrittore – ma perché gli squisiti piatti proposti, uniti all’accoglienza del personale, sono motivo di grande ispirazione e coinvolgimento, anche emotivo. Ti senti nel posto, giusto, insomma.

L’intellettuale vizzinese avrebbe saputo certamente esprimere in maniera eccellente, con la sua alta scrittura, la sinfonia di colori e sapori che fanno de “La Ruota” un locale di eccellenza.

Perché? Di seguito vi diamo solo alcuni dei motivi che ci permettono di annoverare questo locale tra i posti dove fare un’esperienza di gusto piacevole a 360°.

Siate pronti a mangiare con gli occhi. Ogni piatto, infatti, si presenta curato nei dettagli e i guizzi creativi dello chef certamente meritano di essere immortalati con uno scatto.

Gusterete la tradizione, con innovazione. Che ne dite di un buon piatto di spaghetti al macco di fave, guanciale e caciocavallo? Oppure di spaghetti con crema di ricotta, sanapo e acciuga? Per non parlare dei secondi: che siano a base di carne o pesce, sapranno conquistarvi e stupirvi al tempo stesso.

Apprezzerete la qualità. Dalle materie prime di eccellenza locali, ai prodotti “oltre confine”, ai tagli di carne estera. Ciò che conta, per i titolari de “La Ruota” è garantire ai clienti la qualità in tutti i loro piatti e nel servizio, puntuale e mai approssimato. Inoltre dispone di un’ assortita carta dei vini che abbraccia il panorama vinicolo siciliano con qualche etichetta estera.

Pizza rigorosamente cotta nel forno a legna. Cosa fa di una pizza un’ ottima esperienza di gusto? Sicuramente l’impasto, gli ingredienti e la cottura nel forno a legna! Il menù pizza de “La Ruota” offre una scelta varia e mantiene la promessa: impasto leggero, prodotti di qualità, cottura perfetta per un’esperienza di gusto ai massimi livelli di piacere!

C’è spazio per tutti. Una grande sala all’interno e un ampio spazio esterno fanno de “La Ruota” il locale perfetto dove organizzare feste, rimpatriate e ricorrenze di ogni genere.

È facilmente raggiungibile. Situato nei pressi di Vizzini Scalo, in contrada Corvo, il ristorante-pizzeria “La Ruota” può considerarsi un vero e proprio punto di riferimento del territorio calatino, ragusano e catanese.

Una realtà storica, in crescita. Il locale nasce negli anni ’70, inizialmente in una vecchia rimessa per carretti. Ma è nel 1986 che viene acquisita dagli zii e dal padre di Giacomo e Roberto Russo, i due fratelli attualmente titolari. «È da dodici anni che, con dedizione e passione, curiamo la gestione de La Ruota – dichiarano soddisfatti –. Ci entusiasma l’idea di porci traguardi sempre nuovi che possano far crescere questa nostra realtà e alimentare l’attenzione verso il nostro territorio».

È per questo che, ci rivelano: «A breve daremo avvio ad un nuovo progetto. Si tratta di promuovere l’offerta turistica del territorio attraverso l’istituzione di un Ciclo-Hotel, un luogo dove pernottare, gustare i nostri piatti e avere la possibilità di avere in dotazione una bicicletta utile ad esplorare, con una guida o in piena autonomia, il territorio e le sue bellezze paesaggistiche e architettoniche».

Insomma: bontà, qualità, servizi e novità a “(La) Ruota”.

Passioni verghiane. Storie senza tempo

a cura di Alessia Giaquinta

«Ascoltatemi», ripigliò; «voi siete una vittima».

«Oh! no, signore!».

«Sì, voi siete la vittima della vostra posizione, della cattiveria di vostra matrigna, della debolezza di vostro padre, del destino!».

Poche frasi, tratte dal romanzo “Storia di una Capinera” (1871) di Giovanni Verga, bastano a farci comprendere la storia di Maria, una giovane – orfana di madre – costretta a diventare monaca di clausura a causa delle indigenti condizioni familiari. Lei, però, non sente la vocazione alla vita religiosa che le è stata imposta. Tutt’altro: Maria ama “l’aria, la luce, la libertà” e anche un uomo, Nino. Una vicenda drammatica, di intense passioni e infelici turbamenti è quella di Maria, la Capinera; una storia che ha ispirato anche il noto regista Zeffirelli per la produzione di un film tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Verga.

Ed è proprio l’intellettuale catanese, nato a Vizzini nel 1840 e riconosciuto come il “padre del Verismo italiano”, che attraverso la sua attività letteraria è stato capace di rendere viva – per i lettori di ogni tempo – la realtà siciliana del periodo storico in cui egli visse, una fotografia cruda e intensa, insomma, della Sicilia dell’Ottocento e dei suoi personaggi, tragicamente rassegnati al loro destino.

E lo fa senza filtri. Verga, con scrupolo realistico e senza intrusioni soggettive, indaga le passioni dell’uomo, le sue ambizioni, la smania di potere, la ricchezza, l’ingiustizia sociale, l’egoismo e presenta molte altre tematiche che, pur contestualizzate nella storicità delle vicende narrate, risultano sempre attuali.

Leggere, oggi, qualsiasi opera verghiana, dà, infatti, la possibilità di fare un’esperienza multipla: non permette, dunque, soltanto di conoscere di un passato remoto che appartiene alla nostra terra, né solamente di apprezzare lo stile, il linguaggio e l’eccelsa capacità narrativa dell’autore, ma si rivela anche uno strumento che consente di scrutare l’animo umano – con le sue miserie e passioni – conducendo ogni lettore a riflessioni sempre attuali e rinnovate sull’uomo e la sua esistenza.

Verga va, dunque, letto e riletto. Va meditato e celebrato grandemente, così come è stato fatto nel corso di quest’anno, in memoria del centesimo anniversario dalla sua morte (avvenuta a Catania nel 1922). È importante che le sue opere siano studiate con più attenzione nelle scuole, approfondite nei centri culturali, narrate sui social, portate nei teatri, … E siano trasmesse soprattutto alle nuove generazioni, perché non affievolisca mai la consapevolezza dell’immenso patrimonio che ci ha lasciato Verga che – come disse il critico letterario Luigi Russo – è “il nostro più grande narratore che sia nato dopo il Manzoni”.

 

Salemi: un borgo che conquista con il suo scrigno d’arte, storia e antiche tradizioni

di Patrizia Rubino, foto di Pro Loco Salemi 

Dal 2016 è uno dei borghi più belli d’Italia, ma Salemi piccolo centro in provincia di Trapani, con meno di 11.000 abitanti, continua a riscuotere consensi e attenzioni per le sue bellezze paesaggistiche e architettoniche, per la sua storia e le sue tradizioni tanto che rappresenterà la Sicilia nel concorso “Borgo dei Borghi 2023”, promosso dalla trasmissione Kilimangiaro di Rai 3.

Situata al centro della valle del Belice, Salemi è una cittadina dalle origini antichissime, conserva le tipiche architetture medievali, con tracce importanti delle dominazioni arabe e fu gravemente danneggiata dal disastroso terremoto del 1968. «Nel tempo grazie a un’attenta ricostruzione e un accurato restauro – spiega Giuseppe Pecorella, presidente della Pro Loco di Salemi, da anni in prima linea nella promozione del territorio – il nostro centro storico con i suoi edifici, tutti realizzati con la caratteristica e pregiata pietra campanella, si presenta nel suo antico splendore ed è il nostro più suggestivo biglietto da visita».

Ed è proprio nel cuore del centro storico, nella splendida piazza Alicia, che svetta imponente il monumento simbolo di Salemi: il castello normanno-svevo fatto erigere da Federico II di Svevia nel XIII secolo, un’ eccezionale testimonianza dell’architettura medievale nel territorio.

Fu proprio in una delle sue torri che nel 1860 Garibaldi issò la bandiera tricolore, proclamando Salemi la prima capitale d’Italia; titolo che mantenne per un giorno. Oggi il castello è la suggestiva location di convegni, mostre e spettacoli. Proprio accanto al maniero si possono ammirare i resti di un altro edificio straordinario, il Duomo di San Nicola di Bari; dopo il terremoto sono rimasti l’abside, il campanile e le cappelle laterali.

Non molto distante dalla piazza c’è la chiesa barocca dei Gesuiti. Al suo interno sono conservate opere di grande pregio; il crocifisso dell’antica Matrice e un magnifico organo ligneo del 1700. L’ex Collegio dei Gesuiti, proprio accanto alla chiesa, è la sede del Polo Museale cittadino. «Si tratta di un complesso museale straordinario – sottolinea Pecorella – attraverso il quale è possibile ripercorrere la storia, l’arte e la cultura della nostra città e alla cui inaugurazione partecipò, nel 2010, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita a Salemi per l’anniversario dello Sbarco dei Mille». Nel grande museo c’è una sezione dedicata all’arte sacra, con opere salvate dalle chiese distrutte dal sisma, un’altra sezione è dedicata al Risorgimento, in onore del passaggio di Garibaldi nel 1860; oltre a documenti e testimonianze, contiene una collezione di sciabole, fucili, baionette del periodo. Vi è poi una sezione archeologica con i reperti degli scavi di San Miceli, Monte Polizo e di Mokarta, quest’ultimo sito è una delle più importanti testimonianze di epoca preistorica in Sicilia. C’è anche l’area espositiva denominata Museo della Mafia e Officina della Legalità, dove si racconta il fenomeno mafioso attraverso giornali, opere letterarie, cinematografiche e televisive.

Nell’Ecomuseo del Grano e del Pane, sezione inaugurata nel 2019, si celebrano tradizioni ed eccellenze artigianali legate al pane con foto, video e installazioni artistiche di pane. «Salemi ha un legame antichissimo con il pane – spiega Giuseppe Pecorella – che da tempo immemorabile si rinnova ogni 19 marzo con il rito delle “Cene” di San Giuseppe. La tradizione vuole che per ricambiare una grazia ricevuta, si organizzi una cena alla quale vengono invitati 3 bambini, i santi, che rappresentano la sacra famiglia e per i quali si preparano 101 pietanze che ovviamente saranno condivise. Ma il protagonista della festa – aggiunge – è il pane, infatti, per tutto il mese precedente si lavora alla realizzazione di forme artistiche di pane che andranno ad adornare gli altari delle varie “cene”, allestiti nelle case e lungo le stradine del paese. Un’occasione che tra fede e tradizione coinvolge da sempre tutta la nostra comunità».

Etna: un universo da scoprire in ogni stagione

di Patrizia Rubino, foto di Elia Finocchiaro

Rappresenta uno dei più formidabili ed emblematici fenomeni naturali del pianeta, esempio straordinario dei processi geologici continui, vulcano iconico e laboratorio al centro del Mediterraneo. Sono queste alcune delle motivazioni per le quali l’Unesco, nel 2013, ha proclamato l’Etna Patrimonio dell’Umanità. La “montagna”, come viene familiarmente definito dalle popolazioni che vivono alle sue pendici, è un vulcano delle meraviglie che svetta maestoso, nella sponda orientale della Sicilia visibile dalla terra e dal mare, con una storia che ha inizio oltre mezzo milione di anni fa e la cui attività è documentata da almeno 2700 anni.

Oltre a essere il vulcano più alto d’Europa è certamente tra i più attivi al mondo e data la quasi incessante attività, effusiva ed esplosiva, la sua altezza e morfologia mutano frequentemente; attualmente è alto 3357 ed ha un’ampiezza di circa 1190 kilometri quadrati. Nella sua area sommitale ci sono quattro crateri sempre attivi: cratere di sud-est, cratere di nord-est, Bocca Nuova e Voragine, che formano il cratere centrale. Lungo i fianchi si contano circa 300 crateri spenti, un altro record dell’Etna che è il vulcano con più bocche laterali al mondo. Da sempre è una delle mete della Sicilia favorite da turisti provenienti da tutto il mondo, che spinti per lo perlopiù dal desiderio di assistere alla sua spettacolare attività eruttiva, una volta giunti dinanzi alla sua magnificenza restano letteralmente estasiati per l’assoluta originalità dell’ambiente naturale circostante e per i suoi paesaggi mozzafiato, tanto da affermare che è un luogo da vedere almeno una volta nella vita.

«Il suo fascino – ribadisce Elia Finocchiaro, esperto e appassionato guida ambientale escursionistica di Etna Est, agenzia specializzata in escursioni sull’Etna – non si esaurisce nella seppur straordinaria ed emozionante visione delle fontane e colate di lava, ma è un universo tutto da scoprire con i suoi accecanti contrasti, neve e fuoco, sciara e terra fertile, roccia arida e boschi dalle mille sfumature. Qui c’è sempre vita, dopo la distruzione la natura torna a riprendere il suo spazio e ci presenta nuovi scorci e orizzonti straordinari. Anche per chi come me conosce questo vulcano sin da piccolissimo, l’Etna non finisce mai di sorprendere e stupire, con i suoi angoli inesplorati ed è sempre una grande emozione raccontarla».

La straordinarietà di questo vulcano sta anche nel fatto che pur essendo sempre attivo è facilmente raggiungibile, si concede a visite con la funivia, dalla quale si assiste a uno scenario di incomparabile bellezza sospeso sul mare o con escursioni in auto o a piedi, per le quali è sempre consigliabile affidarsi a guide esperte, in grado di indicare in sicurezza, spettacoli unici e sempre diversi; campi lavici dall’aspetto lunare, crateri spenti, grotte, la meravigliosa ed immensa Valle del Bove, con pareti che arrivano a toccare anche i 1000 metri e ovviamente i crateri attivi, che tutti ambiscono a vedere – ma spesso sono sottoposti a restrizioni – perché caratterizzano la montagna come un vulcano.

Nei mesi più freddi, da dicembre a febbraio il vulcano si trasforma in una meravigliosa montagna imbiancata dalla neve che si staglia sulla roccia nera e diventa meta degli appassionati di sport invernali grazie alla presenza delle stazioni sciistiche.

Ma è bene ricordare che l’Etna resta comunque un sorvegliato speciale, a cura dell’Osservatorio Etneo, la sezione di Catania dell’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia, che lo monitora e sorveglia 24 ore su 24 a supporto della Protezione Civile. «Attraverso il nostro lavoro – afferma Elia Finocchiaro – riusciamo a far vivere emozioni uniche, con senso di responsabilità e avvalendoci della collaborazione di geologi e vulcanologi e di tutte le tecnologie disponibili per lavorare nella massima sicurezza. Quando ci si trova al cospetto del vulcano occorre rispetto e cautela. È sì un gigante buono, ma è vivo, palpitante e pur sempre imponderabile».

Capo Peloro. La spiaggia più bella d’Italia secondo National Geographic

di Rosamaria Castrovinci, foto di Marco Alvaro 

La prestigiosa rivista National Geographic, nella sezione viaggi, ha dedicato di recente un articolo alle 12 spiagge più belle d’Italia.

Quale orgoglio trovare ben tre spiagge siciliane su 12 in classifica! Ma ancora di più trovarne una al primo posto: la spiaggia di Capo Peloro a Messina, una riserva naturale che potrebbe scomparire se si decidesse di costruire il tanto discusso Ponte sullo Stretto. Ecco, questo primo posto dovrebbe invitarci a riflettere.

“Il bellissimo Stretto di Messina, che separa la Sicilia dall’Italia continentale, è un luogo leggendario, tant’è che Omero vi ha ambientato parte dell’Odissea. Capo Peloro, all’estremità nord-orientale della Sicilia, si trova nel punto in cui i mari Ionio e Tirreno finiscono l’uno dentro l’altro in un continuo turbinio. La spiaggia che si riversa davanti al villaggio – una riserva naturale – è un’ampia e piatta distesa di sabbia, che si snoda sotto un mastodontico traliccio dell’elettricità, che un tempo era il più alto del mondo (ce n’ è un altro, speculare, in Calabria, oltre lo stretto). I delfini si divertono nelle acque cristalline e il pesce spada attraversa lo stretto in estate, mentre la costa calabrese si staglia all’orizzonte”.

Sono queste le parole che si leggono nell’articolo del National Geographic in riferimento alla spiaggia di Capo Peloro, chiamata anche “Faro” dai messinesi proprio per via dell’importante faro che si trova lì vicino.

Due mari che si incontrano, lo Ionio e il Tirreno, sono già di per sé uno spettacolo che vi stupirete di poter notare incredibilmente sotto i vostri occhi nel dislivello che spesso si forma nel punto d’incontro per via delle correnti opposte, due mari di un azzurro un po’ diverso l’uno dall’altro che ad un certo punto si baciano. E poi i delfini, che da sempre, nuotando nelle acque dello stretto, allietano coloro che hanno la fortuna di incrociarli con le loro acrobazie. E ancora il pesce spada, che d’estate attraversa lo stretto in banchi, la cui pesca a Messina è un’arte antichissima che si tramanda di padre in figlio. È più una sorta di caccia quella al pesce spada, che avviene a bordo delle feluche, imbarcazioni tipiche usate nello Stretto di Messina, una tradizione millenaria che rappresenta tutt’oggi un’attività di sostentamento per alcuni villaggi dediti principalmente alla pesca e che è stata anche oggetto di ricerche etnologiche.

Un ecosistema unico e straordinario quello di Capo Peloro, che va valorizzato e protetto, oltre ad un panorama mozzafiato che le ha fatto guadagnare il primo posto in classifica.

La seconda spiaggia siciliana che troviamo nella classifica del National Geographic è quella di Cala Rossa, a Favignana. Classificata al quinto posto, è indicata come “la migliore spiaggia per fotografi” e si trova nell’isola principale dell’arcipelago delle Egadi, fra Marsala e Trapani. Anche questa scenario di leggende, il nome Cala Rossa sarebbe dovuto al fatto che in passato Romani e Cartaginesi si scontrarono in queste acque in una battaglia sanguinosa che le tinse di rosso. La spiaggia si trova all’interno di splendide cave di tufo, che la rendono ancora più suggestiva e affascinante, ed è caratterizzata da un mare cristallino e da particolari scogliere.

Infine, al settimo posto di questa classifica troviamo la spiaggia dei Conigli a Lampedusa, indicata come la migliore per starsene un po’ isolati. La spiaggia dei Conigli è infatti accessibile solo su prenotazione e può ospitare un numero limitato di persone al fine di tutelare lo straordinario e vulnerabile ambiente costiero. La spiaggia fa parte della Riserva Naturale Isola di Lampedusa ed è caratterizzata da scogliere rocciose, sabbia bianca e acque di un particolarissimo blu pavone. Collegato alla costa da un istmo di sabbia che si forma solo in alcuni periodi vi è l’Isolotto dei Conigli, che sorge al centro di un’ampia baia nella parte Sud-Ovest dell’isola di Lampedusa.

L’officina culturale di Palazzo Butera: un’idea feconda di rigenerazione

di Giulia Monaco   Foto di Palazzo Butera

Ci troviamo nel cuore della Kalsa di Palermo, il quartiere arabo, uno dei più antichi della città. Il suo nome deriva da Al Khalisa, “l’eletta”, perché custodiva la cittadella fortificata scelta dall’emiro come sede della sua corte. Qui alla fine del Seicento l’aristocratica famiglia dei Branciforte edificò uno dei palazzi più sfarzosi ed eleganti di Palermo, che dominava con la sua imponente bellezza il Foro Italico, affacciandosi sul mare: il Palazzo Butera.

Splendore e decadenza è quello che spesso raccontano i sontuosi edifici palermitani, retaggio di un antico sfavillio reso opaco da anni di declino o da veri e propri abusi architettonici, come il tristemente noto “Sacco di Palermo” che tra gli anni ‘50 e ‘60 spogliò la città dalle sue palazzine in stile Liberty in nome di una selvaggia speculazione edilizia.

Ma la decadenza non sta più di casa a Palazzo Butera da quando Massimo Valsecchi decide di acquistarlo alla fine del 2015, e di finanziare un grande lavoro di restauro, dando vita a un lungimirante progetto di riqualificazione e rigenerazione.

Valsecchi, ex docente di Storia del design industriale, ex broker e collezionista d’arte, è un genovese che fino a pochi anni fa non aveva mai messo piede in Sicilia. Dopo la prima visita a Palermo rimane folgorato da questa città decadente ma caleidoscopica, da sempre crocevia di culture; la città “Tutto Porto”, dal suo nome greco Panormos, dove accoglienza e ospitalità sono linfa vitale.

«Perché Palermo è un posto unico, dove in un mercato puoi trovare dieci etnie diverse che convivono pacificamente, senza ghetti», sostiene Valsecchi, e, infatti, si trasferisce in città subito dopo aver scelto Palazzo Butera come sede per la vasta e preziosa collezione che possiede insieme alla moglie Francesca Frua De Angeli (pregiate opere di arte contemporanea, pezzi di archeologia, rarissime porcellane settecentesche, mobili del primo Novecento).

Ma Palazzo Butera diventa molto di più che una sede museale: l’idea di Valsecchi è quella di restituire il palazzo alla gente, riportando alla luce lo splendore antico integrandolo a interventi contemporanei e avanguardistici. Vuole creare un progetto vivo, in continuo divenire come la città che lo ospita.

Il palazzo si trasforma in uno spazio culturale poli-funzionale, un laboratorio sperimentale che custodisce cultura, arte, scienza e sapere sempre in evoluzione, un cantiere perennemente aperto.

Spazi espositivi dedicati all’arte contemporanea dominano il piano terra, oltre a un’installazione di Anne e Patrick Poirier realizzata appositamente per Palazzo Butera. Poi si passa ai saloni affrescati e alla terrazza del primo piano, mentre al secondo si trovano venti sale aperte al pubblico e il torrino che svetta sul golfo di Palermo. La foresteria è poi uno spazio vivo in cui artisti, studiosi, cultori e curatori d’arte lavorano a progetti di ricerca per mostre e attività che si tengono nel palazzo.

L’arte per Valsecchi è il solo elemento in grado di generare innovazione e di ridare spazio ai siciliani laddove ha fallito la politica. Il complesso lavoro di restauro del Palazzo ha coinvolto e dato lavoro a più di un centinaio di maestranze locali, tra architetti, ingegneri, geometri, restauratori e operai.

A Palazzo Butera il passato e il presente si incontrano senza scontrarsi, generando una feconda idea di futuro. Palermo, da sempre catalizzatrice di storie e culture che si mescolano, diventa il punto di partenza per ripensare l’identità europea. E il quartiere Kalsa, che nel recente passato è stato simbolo del degrado cittadino, rinasce a nuova vita, perché qui l’arte e il sapere rifioriscono in forme inedite.

«La Sicilia, con la sua storia millenaria, può costituire un rinnovato esempio di accoglienza e integrazione. In Sicilia, a Palermo, il quartiere della Kalsa porta i segni di questa stratificazione storica e culturale, che fa da sfondo alla rinascita di Palazzo Butera» conclude Massimo Valsecchi.

Il Barocco siciliano: Patrimonio Unesco per la sua unicità

Articolo e foto di Rosamaria Castrovinci

Il Barocco è stato un movimento estetico, ideologico e culturale sorto dall’affermazione delle idee legate alla Controriforma cattolica. Nell’arte questo movimento è stato caratterizzato da una forte esuberanza teatrale rappresentata attraverso i più disparati elementi espressivi e stilistici quali i giochi di luce, l’amplificazione, la torsione, l’ampio utilizzo di decorazioni floreali, ecc.

Il movimento culturale, così come lo stile artistico, si è sviluppato in Italia e in Europa, arricchendosi man mano di nuovi elementi. Dunque perché si parla poi di Barocco “siciliano”? Cosa lo caratterizza e lo rende diverso da quello del resto d’Europa?

Lo studio delle caratteristiche del Barocco Siciliano si deve a Anthony Blunt che nel suo testo “Barocco siciliano”, del 1968, ne identificò tre fasi di sviluppo:

  • la prima avvenne intorno al 1600, periodo in cui lo stile Barocco fu introdotto in Sicilia con la costruzione (iniziata nel 1609 e conclusa nel 1620) del complesso dei Quattro Canti a Palermo ad opera degli architetti Giulio Lasso e Mariano Smiriglio. La piazza all’interno dei Quattro Canti, all’incrocio delle due strade principali di Palermo (via Maqueda e corso Vittorio Emanuele), è nota anche con il nome di Piazza (o Teatro) del Sole perché l’ esposizione architettonica dei palazzi fa sì che almeno una facciata sia sempre illuminata dal sole, e questo avviene durante tutto l’anno. Anche questa caratteristica si può ricondurre allo stile Barocco, nel quale rivestiva grande importanza il gioco di luci. Anche a Messina furono realizzate delle importanti costruzioni in stile Barocco che però sono andate distrutte dal terremoto del 1908;

 

  • la seconda fase, secondo Blunt, si avrebbe a partire dal 1693, anno in cui il terremoto del Val di Noto distrusse più di 45 centri abitati nella Sicilia Orientale. Tra questi Noto fu completamente rasa al suolo, mentre Siracusa e Catania furono danneggiate in modo molto grave. La ricostruzione delle città, avvenuta in questo periodo, diede ampio spazio all’architettura barocca, che in questa seconda fase si caratterizza per una grande esuberanza decorativa. A questo periodo risalgono la realizzazione della chiesa di San Giorgio a Ragusa, ricostruita sulle rovine della chiesa di San Nicola, ad opera di Rosario Gagliardi e la basilica di Santa Maria Maggiore a Ispica, sempre ad opera del Gagliardi ma caratterizzata da uno splendido loggiato che venne costruito successivamente e fu progettato da Vincenzo Sinatra;

 

  • arriviamo infine alla terza fase, il cui inizio viene collocato intorno al 1730, periodo in cui finì la corsa alla ricostruzione e con più calma lo stile Barocco iniziò ad intonarsi alla personalità siciliana, compiendo così un’evoluzione unica. Esempi architettonici collocabili in questo periodo sono la Cattedrale di Catania, riedificata a partire dal 1711 su progetto di Girolamo Palazzotto, e la chiesa di San Domenico a Noto.

Il Val di Noto (nome che deriva da “vallo”, area estesa) e le sue città tardo barocche nel 2002 sono state inserite dall’UNESCO nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Le otto città che fanno parte del sito sono: Caltagirone, Militello Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa e Scicli, tutte situate nel Sud Est della Sicilia.

Il sito è diventato Patrimonio Unesco poiché rappresenta una delle massime espressioni al mondo del Tardo Barocco europeo. I sontuosi palazzi, ricostruiti a partire dal 1693, sono caratterizzati da preziosi interni e da straordinarie facciate intarsiate, le trame urbane di tutte le città del Val di Noto sono tessute secondo un unico stile, rendendo questa zona unica ma allo stesso tempo diversificata da una città all’altra per l’utilizzo dei diversi materiali (quelli caratteristici di ciascuna zona) usati per la costruzione: ad esempio a Catania il Barocco è grigio-scuro per l’uso della pietra lavica, mentre a Noto assume il luminoso color miele della pietra locale.

Maria Grammatico. La famosa pasticciera di Sicilia

di Merelinda Staita, foto di Nino Lombardo

Maria Grammatico è ormai una celebrità e i suoi dolci conquistano il palato di ogni persona che ha la fortuna di assaporare le sue prelibatezze. La pasticceria Grammatico si trova a Erice ed è il luogo in cui si fermano i turisti che provengono da ogni parte del mondo. Recentemente, Vanity Fair, magazine di costume, cultura e moda, ha dedicato un ampio articolo alla creatività della signora Maria.

Io l’ho raggiunta telefonicamente per scoprire il segreto del suo successo e delle sue eccellenti leccornie.

Maria, lei è ormai una celebrità ci racconti la sua storia.

«Ho vissuto tante esperienze tra cui la guerra e la perdita a 11 anni di mio padre. Fui mandata al Convento San Carlo e proprio lì mi resi conto cosa vuol dire lavorare con responsabilità e tenacia».

Come è nata la sua arte?

«Rimasi al Convento San Carlo per 15 anni e imparai l’arte pasticcera conventuale e dopo ho deciso di aprire un piccolo negozio per mettere in pratica le mie conoscenze e le mie competenze. In questo piccolo negozio iniziai a creare ed inventare. Col passare del tempo la mia pasticceria è stata apprezzata e amata».

Quali sono i prodotti che prepara con amore e passione?

«I prodotti sono davvero tanti come ad esempio: i biscotti di fico, la lingua di suocera, i mustazzoli, le confetture, le diverse tipologie di dolci alla mandorla e poi le Genovesi. Piccoli dolcetti di pasta frolla, ripieni di crema pasticciera, ricoperti con zucchero a velo».

Impartisce anche lezioni a quanti vogliono imparare l’arte culinaria siciliana?

«Sì, impartisco anche lezioni. La mia scuola di cucina dà la possibilità, a quanti vogliono imparare, di immergersi nei sapori della gastronomia sicula. Nel corso di pasticceria è possibile preparare tutti i dolci della pasticceria siciliana: dai dolci di mandorla, ai cannoli e alle cassate. Il corso di gastronomia prevede la preparazione di sformati, sughi (in particolare il pesto alla trapanese), impastare la pasta (in particolare le busiate, pasta tipica trapanese) e tutto ciò che fa parte della nostra tradizione culinaria. Inoltre, c’è la possibilità di seguire contemporaneamente il corso di gastronomia e pasticceria, ricco di dolci e prelibatezze uniche».

So che nella sua pasticceria è possibile effettuare degustazioni per gruppi di persone. Come vengono organizzate?

«Sì, è vero. Offriamo tre particolari degustazioni ed possibile effettuare le prenotazioni online».

Lanci un messaggio ai giovani che desiderano diventare pasticcieri.     

«Impegnatevi e lavorate con costanza. Gli ingredienti per raggiungere un obiettivo sono: tanta pazienza, tanti sacrifici e tanto amore. Il mio sogno è sempre stato quello di tramandare la mia tradizione e insegnare ciò che ho imparato dalla mia esperienza. Spero che i ragazzi non perdano mai il desiderio di lottare per raggiungere i loro traguardi».

 

A raccontare la storia di Maria Grammatico ci ha pensato la giornalista statunitense Mary Taylor Simeti, rimasta affascinata dalla vita di Maria. Raccoglie la sua testimonianza e le sue ricette in un libro “Mandorle amare”. Una storia siciliana tra ricordi e ricette, edito da William Morrow and Company Inc. a negli USA e da Flaccovio Editore in Italia.

Insomma, la Sicilia dimostra di essere una terra ricca di personalità eccellenti e questa volta è Erice a fare da cornice al meraviglioso e dolcissimo mondo di Maria Grammatico.