Aurelio Grimaldi, e gli esordi del cinema siciliano
Articolo e foto di Samuel Tasca
Scrittore, sceneggiatore e regista, Aurelio Grimaldi ha contaminato questi ultimi decenni con la sua interpretazione della realtà. Un narratore attento che sa osservare ciò che lo circonda per traslarlo poi nelle modalità più consone della letteratura e del cinema.
«Non mi ero reso conto che era passato così tanto tempo… ».
Inizia così la nostra chiacchierata quando gli facciamo notare che sono passati oltre trent’anni dal suo esordio. Lo incontriamo all’ultima edizione di Taobuk, a seguito del suo intervento all’interno del seminario dal titolo “Dal neorealismo alla Piovra”. Proprio così, perché dalla sua prima esperienza su un set cinematografico con l’omonimo film tratto dal suo romanzo “Mery per sempre”, che lo vede coinvolto nella stesura della sceneggiatura, sono passati ormai più di trent’anni. «Questi anni sono volati via – continua a metà tra il divertito e il nostalgico -. Ho avuto molta fortuna, sono riuscito a realizzare un bel po’ di miei progetti. Alcuni non si sono concretizzati, ma ancora tengo duro, il tempo c’è… anche se ho quasi tutti i capelli bianchi».
A quel punto, quasi incantati dai suoi ricordi, ci lasciamo trasportare da Grimaldi nel bel mezzo di quegli anni, come degli spettatori che stanno per assistere agli esordi del cinema siciliano.
«Il mio ingresso nel dorato mondo del cinema avvenne con il libro “Mery per sempre” da cui fu tratto l’omonimo film che divenne famoso. Quando nel 1987 scrissi il libro si facevano tantissimi film in Sicilia, ma non c’erano registi siciliani. Anche in quel caso la storia era siciliana, ma il regista era romano: Marco Risi. Però, per la prima volta, il film non era parlato in dialetto siciliano, ma gli attori usarono il loro linguaggio, quindi un accento palermitano molto stretto con delle espressioni molto forti».
Quella prima esperienza segnò di fatto una svolta nell’evoluzione professionale di Aurelio Grimaldi, che da insegnante delle elementari divenne prima scrittore e in seguito sceneggiatore. Poi, quasi a sopperire a quella mancanza di registi isolani, decise di cimentarsi dietro alla macchina da presa nelle vesti di regista. Sono suoi alcuni dei film che ebbero maggior successo in quegli anni: “La discesa di Aclà a Floristella” (1992), presentato al Festival del Cinema di Venezia; “La ribelle” (1993) con Penelope Cruz; “Le Buttane” (1994) anche questo tratto dal suo libro omonimo e presentato al Festival di Cannes.
Ed è proprio ripensando a quel Festival del ’94 che Aurelio Grimaldi fa un altro tuffo nel passato: «Devo dire che uno dei ricordi più belli che ho riguardo al cinema siciliano è quando nel 1994 due registi siciliani furono in concorso al Festival di Cannes: io con “Le Buttane” e Peppuccio Tornatore con “Una pura formalità”. Purtroppo da allora nessun regista siciliano è tornato in concorso a Cannes. Però, nel frattempo, tanti registi siciliani sono emersi e la Sicilia non è più un luogo dove la gente viene a raccontare storie siciliane, ma oggi ci sono molti siciliani che raccontano le proprie storie e partecipano a questo processo creativo».
Reduce dal suo ultimo lavoro, “Il delitto Mattarella”, uscito nelle sale italiane il 2 luglio di un 2020 quasi privo di cinema, Aurelio Grimaldi ritorna dietro la macchina da presa per narrare uno dei delitti mafiosi più sofferti della nostra storia, ma anche uno dei meno raccontati: quello dell’ex Presidente della Regione Siciliana Pier Santi Mattarella, avvenuto nel gennaio del 1980. Ancora una volta Grimaldi diventa narratore attento e meticoloso che a seguito di un’accurata ricerca sui fatti storici, fornisce una visione chiara della realtà di allora, senza particolari esaltazioni, ma che si pone il fine importantissimo di informare e far conoscere, soprattutto alle nuove generazioni.