L’astrofotografa Marcella Giulia Pace incanta il mondo

di Alessia Giaquinta   Foto di Marcella Giulia Pace

Il Piccolo Principe racconta di aver visto, in un solo giorno, quarantatré tramonti. Se Marcella Giulia Pace – astrofotografa e maestra ragusana – avesse la medesima possibilità, sarebbe in grado di cogliere, in ognuno, qualcosa di diverso e interessante perché ogni tramonto è unico e imperdibile se osservato con attenzione. La NASA, apprezzando le sue foto, le ha scelte per ben tre volte come APOD (Astronomy Pictures of the Day): una vera soddisfazione nel campo dell’astrofotografia italiana. A cadenza quasi quotidiana, la Pace carica sul proprio sito www.greenflash.photo nuovi scatti, nuove visioni di terra, di cielo, di Spazio.

Come nasce la tua passione per l’astrofotografia? Ricordi il tuo primo scatto?
«L’astrofotografia è un mio modo di osservare il mondo, non diverso dal mio modo di osservarlo anche senza strumenti fotografici. Ho da sempre avuto uno sguardo attento alle cose della Natura, alle forme con cui si presenta, viventi o inanimate. Amo osservare e pormi domande, considero la macchina fotografica come uno strumento di espansione del mio sguardo utile a cogliere aspetti della Natura insoliti. Non ricordo con esattezza il mio primo scatto, perché ebbi la mia prima macchinetta fotografica quando avevo otto anni. I miei genitori me la regalarono perché fotografassi le Dolomiti quando, in estate, mi mandavano in vacanza nelle colonie dell’ENI a Borca di Cadore. Lo scatto, invece, che identifico come l’inizio del mio riconoscermi come “astrofotografa” risale al 2009, quando notai per la prima volta l’alone solare sul cielo del bosco della Ficuzza, in provincia di Palermo. Rimasi molto affascinata, colpita, incuriosita da quel fenomeno e volli approfondire».

Cosa consigli a chi vuole intraprendere quest’attività?
«Di muoversi in maniera anticiclica rispetto alle abitudini della gran parte del proprio prossimo, ma anche rispetto anche alle proprie abitudini. Solo andando dove non si è mai stati prima e in orari e con strumenti inusuali si può mantenere vivo il proprio interesse e la propria curiosità».


Raccontaci l’emozione di vedere i tuoi scatti pubblicati dalla NASA.
«Se scatto e pubblico le mie immagini sui social è perché è mia intenzione divulgarle a un vasto pubblico. L’approvazione della NASA verso i miei lavori è per me una sorta di patente che mi autorizza a proseguire in questo impegno. A parte la “breve notorietà” è sorprendente ricevere richieste da docenti di varie università del mondo che chiedono di utilizzare le mie foto sui loro testi universitari. Il lato meno piacevole, per altri aspetti, è che spesso il soggetto ritratto in foto passa in secondo piano, la notizia finisce con l’essere, a seconda: la fotografa, la ragusana, la maestra che fa foto, la NASA che s’interessa alle foto e le pubblica, sottacendo del raggio verde ad esempio, che è il vero protagonista della foto».

Sei riuscita a fotografare il raggio verde. Cosa ti ha spinto a farlo e quanto è stato difficoltoso?
«Osservo tanti tramonti, mi sorprende sempre vedere come la rifrazione deformi il disco solare quando è prossimo al tramonto. Conoscevo il fenomeno del raggio verde, l’ultimo lembo del Sole che si tinge di verde, come l’ultimo saluto prima di lasciare posto alla notte, uno dei fenomeni ottici atmosferici più leggendari e ricercati. Ne ho ripresi molti osservando albe e tramonti sulla costa ragusana, ma non mi era capitato mai di riprenderli sulla Luna e addirittura sui pianeti Venere e Mercurio. Dopo tanti tentativi, nel tempo, sono riuscita solo qualche mese fa a catturarli nella foto che la NASA ha scelto come APOD (Astronomy Pictures of the Day), una foto di saluto al Sole che non sta andando via, ma sta solo sorgendo da un’altra parte, un piccolo prestito al resto del mondo che ci viene restituito ogni giorno, ma sempre diverso, se solo riusciamo a porre sufficiente attenzione».

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