Architetto Maria Giuseppina Grasso Cannizzo (MGGC) o della piccola scala

di Salvatore Genovese   Foto Di Daniele Ratti, Giulia Bruno, Fabio Mantovani, Helene Binet, Armin Linke, Sissi Cesira Roselli

Con la vittoria del Premio Italiano Architettura assegnatole dalla Triennale Milano e Maxxi, per il migliore edificio realizzato tra il 2018 e il 2021 con il progetto 2018 LCM, con cui ha recuperato ad abitazione privata un ex asilo di Mazzarrone, nel catanese, l’architetto Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, vittoriese d’adozione, si è confermata come una delle più innovative protagoniste a livello internazionale dell’arte del progettare.

Un prestigioso riconoscimento che va ad aggiungersi ad un curriculum già molto ricco, da cui traiamo solo alcuni punti: 2021, Nomina Accademica Nazionale di San Luca; 2019, Laurea Honoris Causa in Ingegneria Edile – Architettura, Università di Catania; 2016, Menzione Speciale per la partecipazione alla mostra Reporting from the front, XV Biennale di Architettura di Venezia; 2012, premio Medaglia d’Oro alla Carriera assegnato dalla Giuria della Triennale di Milano.

di Daniele Ratti

Numerose le mostre alle quali MGGC, acronimo che la individua anche a livello internazionale, ha partecipato; mostre curate da nomi prestigiosi come Pippo Ciorra, Shelley McNamara, Yvonne Farrell, Alejandro Aravena, Pierluigi Nicolin e Mirko Zardini. Al suo attivo anche una personale, Loose Ends, realizzata all’AUT Architektur und Tirol di Innsbruck, nel 2014.
Quattro le monografie che la riguardano, tra cui Loose Ends, a cura di Sara Marini, Aut/Lars Müller Publishers.

di Giulia Bruno

Nonostante così numerosi riconoscimenti, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo si è tenuta lontana dai riflettori della notorietà e ha assunto un comportamento e uno stile sobri, tanto da indurla, dopo aver vissuto per molti anni a Roma e a Torino, a “incartare tutto e metterlo in una valigia, per portarlo da un’altra parte e vedere cosa farne” (intervista di Manuel Orazi, Domus, 15 maggio 2020) e ritornare nella sua abitazione paterna di Via Magenta, a Vittoria, in quella che lei stessa definisce una “area marginale”. Questo, però, non ha significato un’auto emarginazione: MGGC continua a vivere a stretto contatto con vari centri della cultura e dell’arte contemporanea.

 

di Fabio Mantovani

Ma cosa ha caratterizzato e dato valore all’opera dell’architetto Grasso Cannizzo?
Secondo Pippo Ciorra «MGGC si è presentata fin da subito al mondo come un animale senza branco, molto poco attenta a posizionarsi nel deprimente ‘dibattito architettonico’, molto più incline a cercare di volta in volta il centro assoluto e variabile tra luogo, tecnica e arte».


di Fabio Mantovani

Per Luca Molinari «L’ ossessione costante di una ricerca di senso profondo in quello che si fa e nelle soluzioni che ne derivano, unita a una lettura quasi amorosa e struggente di quello che il luogo e le condizioni offrono senza alcuna apparente forma di moralismo, sono due elementi che distillano soluzioni resistenti alle mode passeggere e che impongono un’attenzione differente a chi le incontra. Non c’ è niente di “social” e ammiccante nei suoi gesti progettuali; non esiste ossessione del “like” né la sua comprensione; molti dei luoghi costruiti sono quasi impossibili da fotografare se non abitandoli direttamente».

 

 

di Helene Binet

 

di Armin Linke

Quelle di MGGC sono opere minute, da piccola scala, ma di grande intensità dal punto di vista concettuale. Poco amante delle etichette, provenendo dal restauro, sente l’esigenza che ogni cosa sia trasformabile.
«Dal 1974 al 1990 – spiega – ho potuto mettere in pratica i principi teorici del Restauro sia su preesistenze storiche, sia su scheletri di architetture abusive, sia su porzioni di realizzazioni recenti. L’ esperienza di progetto e di cantiere di fronte a casi sempre diversi mi ha consentito di verificare gli insegnamenti, stabilire nessi e relazioni con esperienze, discipline ed ambiti conoscitivi diversi (FIAT e arti visive). Un autore consapevole della transitorietà dell‘esistenza è ossessivamente presente nell’elaborazione del progetto e usa tutti gli strumenti di cui dispone per assecondare e facilitare il destino di trasformazione dell’opera fino alla scomparsa. Nella mia vita professionale ho realizzato il 2% dei lavori progettati… il restante 98% è archiviato in fase esecutiva».

di Sissi Cesira

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