A strina di Natali

di Eleonora Bufalino

Anche in Sicilia il Natale è una delle festività più intrise di magia. Le giornate trascorrono spesso attorno a una tavola imbandita di panettoni, dolci e leccornie varie… ci si diverte con i giochi delle carte, si vivono momenti ormai sempre più rari di aggregazione, ci si abbandona a ricordi che allietano le fredde sere invernali. Famiglie e amici attendono la mezzanotte, apprezzando il tempo del riposo e della condivisione. In quest’atmosfera calzano a pennello le storie del passato e i richiami alle leggende, ai simboli e alle antiche tradizioni siciliane, come quella della “strina di Natali.

 

In italiano si traduce con “strenna”: essa fa riferimento ai regali fatti o ricevuti in occasione delle festività natalizie. Per comprendere il significato di questa usanza, indubbiamente di buon auspicio, bisogna arrivare sino ai tempi dell’Impero Romano quando durante i Saturnali, ovvero i festeggiamenti dedicati al dio Saturno che si svolgevano tra il 17 e il 23 dicembre di ogni anno, era consueto scambiarsi doni augurali dal modesto valore, oltre ad imbandire banchetti e offrire sacrifici agli dei. Il termine ricalca il latino strēnae, regalo di augurio positivo, che discende a sua volta dal nome della dea Strenia. Quest’ultima era una divinità molto cara ai Romani, poiché simbolo di salute, fortuna e rinascita… elementi che si speravano potessero accompagnare l’inizio del nuovo anno. In onore della dea vi erano, sulla Via Sacra a Roma, un altare e un bosco sacro, da cui si raccoglievano ramoscelli d’alloro come omaggi da scambiarsi durante i giorni precedenti il Natale. Nonostante il passare dei secoli e l’abbandono del paganesimo, questa tradizione ha cambiato forma e assunto differenti nomi nelle varie zone dell’isola, ma non ha mai smesso di esistere, continuando a rappresentare un augurio di prosperità e speranza di un futuro roseo.

 

Così, con il trascorrere del tempoa strina di Natali” si è mescolata con la figura femminile; come la divinità Strenia simboleggiava la rinascita, la donna era simbolo per eccellenza di abbondanza e procreazione. L’inizio di un nuovo ciclo solare veniva visto come una rigenerazione; il vecchio lasciava il posto alla novità e il periodo natalizio era perfetto per ricalcare questa convinzione ed esaltare l’immagine di una donna che, facendo la sua comparsa nelle rigide notti che precedono il 25 dicembre, rappresenta il passaggio a vita nuova.

 

La strina di Natale divenne allora una “vecchietta”, simile al personaggio della befana ma al contempo differente, che nelle notti di Natale e di Capodanno arrivava dai boschi e dalle montagne dell’isola, invocata dai canti, dalle antiche nenie e dagli schiamazzi della gente riunita intorno al focolare.


La connessione con la divinità romana rimase a lungo intaccata; la Strina viveva nei luoghi più oscuri e solitari in mezzo alla natura e agli animali selvatici, ma tra dicembre e gennaio faceva la sua comparsa coperta da un mantello nero e bianco; il buio e la luce, la morte e la vita che s’intrecciano. Persino i bambini potevano aspettare la “vecchia” alla Vigilia del Natale e dell’ultimo dell’anno, intonando filastrocche e mangiando sino a notte fonda, per scoprire chi si era comportato bene nei mesi addietro e meritava perciò i suoi doni. Il frastuono di quei momenti allietava la serata e trepidanti si aspettava l’arrivo della Strina, in un clima festoso, fatto di mistero e riverenza. Dolciumi, spezie, canditi, i cibi più buoni della cucina siciliana… ma non solo: sciarpe, maglioni e giocattoli per i più piccoli, portava la vecchietta!

 

Fino agli anni Sessanta del secolo scorso questa tradizione era molto sentita in molte città e paesi della Sicilia. Adesso è quasi una reminiscenza passata; eppure nei ricordi dei più anziani, “a strina di Natali” rimarrà per sempre la vecchia che porta regali natalizi di ogni genere e in qualche piccolo borgo dell’entroterra questa usanza dalle origini lontanissime non è affatto dimenticata.

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